Questa è una piccola storia di un incontro veloce e fortuito. Questa è una storia lunga più di ottant’anni in cui la protagonista ha dovuto sempre lottare. In tempi in cui essere diversi era quasi un reato, lei ha combattuto, ha vissuto, è stata se stessa con tutte le sue forze.
La Tarantina, al secolo Carmelo Cosma è definita: l’ultimo femminiello di Napoli.
E qui ci sarebbe da disquisire sul termine femminiello, in passato inteso come sinonimo spregiativo di termini ancora non esistenti come gay, queer etc. Oggi questo termine ha assunto un valore culturale indicando un modo di essere antico ma ancora esistente. Il femminiello non è solo un gay femminile, vestito da donna che fa “la vita”, no, rappresenta il folclore della nostra città vivace aperta, senza peli sulla lingua, vuoi anche sguaiata nei modi. Uno status da rispettare e la Tarantina, pugliese ma alla fine napoletana di adozione è una di questi.
Una mattina, per caso, ho il piacere di conoscerla. Mi trovavo con il regista Fortunato Calvino che ha curato il documentario La Tarantina. Siamo nei quartieri spagnoli, cuore pulsante della vera Napoli, a pochi metri abita anche la grande Lina Sastri.
La casa della Tarantina è fronte strada, un “vascio” come si chiamano qui. Non c’è bisogno di avvisarla del nostro arrivo al telefono, qui le case sono aperte a tutti, si è una sola famiglia. Lei è in casa, non mi conosce però mi sorride. E’ una donna piccola ma molto energica per i suoi ottantacinque anni, ci fa accomodare subito come è uso qui. Corre all’ angolo cucina per prendere il caffè sempre pronto nella moka e me ne offre una tazzina. Io non potrei berlo per motivi di gastrite, ma guai a rifiutare, qui è quasi un’ offesa.
La chiamo signora e lei mi corregge subito: ”uagliò chiamami Tarantina”. Mi correggo e le do del tu. La casa è composta da una sola grande stanza in cui padroneggia un enorme letto con copriletto rosso. Ingenuamente chiedo: “Come mai il letto quasi all’entrata della casa?”, “Per arrivare subito al dunque!!”, dice lei. Intendeva che negli anni in cui esercitava la vita, non si andava tanto per sottile.
Potevo arrivarci da solo!
Parliamo ancora un po’, lei si lamenta della “vivacizzazione” dei quartieri perché vicino casa sua hanno aperto pizzerie e locali molto in voga tra i turisti e lo schiamazzo notturno che ne deriva non la fa riposare.
E poi mi dice del murales a lei dedicato che è stato imbrattato con la scritta: questo non è Napoli.
Questo non lo sapevo e rimango molto male.
E’ tempo di salutarsi, passa anche un’amica della Tarantina per chiederle come sta oggi; si affaccia anche lei sulla porta finestra senza bussare, una vita aperta al mondo. Subito un‘altra tazzina di caffè per il nuovo ospite.
Prima di andarmene la ringrazio e le schiocco un bacio sulla guancia come avrei fatto ad una persona a cui voglio bene.
E le voglio bene!
Incuriosito ordino il suo libro, ormai introvabile.
lluminosa Tarantina. Il romanzo di un femminiello napoletano di Roberto Delle Cese. Un volume schietto e molto colorito nel linguaggio, come la protagonista.
Il libro è una biografia sulla vita della Tarantina un viaggio adolescenziale tra difficoltà, fame, povertà pregiudizio e tanto orgoglio. Poi gli anni d’oro, la bellezza prorompente di un personaggio Felliniano, la Dolce Vita romana, gli amori possibili e di una notte. E poi c’è Napoli che l’ha abbracciata, l’ha picchiata ma non l’ha mai abbandonata e con il suo ardore non l’ha più lasciata andare.
Segnalo anche il citato film di Fortunato Calvino