20000 … questo il numero delle foto che Filippo Turetta avrebbe scattato a Giulia nel corso della loro storia.
20000 immagini di vita normale, un numero esorbitante che è presente nel cellulare dell’indagato e che dà il senso dell’ossessione che quell’amore era diventato.
Lo scorso 24 ottobre Filippo Turetta si è presentato per la prima volta in aula, nella seconda udienza del processo a suo carico per l’omicidio di Giulia Cecchettin, sentito dal pm Andrea Petroni, dai legali di parte civile che assistono la famiglia Cecchettin e dai suoi avvocati di fiducia.
In aula era presente anche Gino Cecchettin, il padre di Giulia evidentemente turbato dalla disinvoltura del racconto di Turetta che in lacrime ha ritrattato parte di quanto dichiarato nel primo interrogatorio, ha fornito dettagli raccapriccianti e tristi di quelle tragiche giornate con la fuga irrealistica e, purtroppo, ha confermato la determinazione nel voler far del male a Giulia con l’acquisto preordinato su Amazon degli oggetti funzionali alla sua volontà omicida.
Immaginare la sua programmazione e proiettare quella intenzione nella vita reale fa rabbrividire perché evidenzia quanto la normalità di cui si parla diviene di fatto un elemento spaventoso. Nessuno, neanche i suoi genitori, forse nemmeno Giulia pensava fosse arrivato a tanto anche se cominciava a temere certi comportamenti, erano riusciti a carpire in quella meticolosità una indole assassina che con certosina precisione aveva organizzato e pianificato con una scaletta scritta a penna su un banale blocchetto degli appunti la fine della povera Giulia, inconsapevole del destino ineffabile che quel tragico sabato l’aspettava.
L’assoluta ossessione per Giulia e per quell’amore ormai finito sono il tratto più evidente della personalità di Filippo che davvero ha ucciso Giulia perché, laureandosi prima di lui e non con lui – come con insistenza le aveva chiesto – avrebbe spiccato il volo da sola allontanandosi probabilmente per sempre da lui.
E così il bravo ragazzo si era procurato una bella lista della spesa dove annotava anche le finalità degli oggetti come la corda, lo scotch, le buste, spugnetta bagnata per la bocca, con relative necessità di utilizzo e indicazioni d’uso come se fosse un elenco normale quando la finalità era di uccidere la sua ormai non più ragazza.
Il possesso di un amore che non esisteva più é la testimonianza del dramma di una generazione che non riesce ad accettare un ‘no’ molto di più degli uomini di un tempo che agivano per il delitto d’onore anche se la logica sottesa é la stessa: donna come semplice oggetto di proprietà dell’uomo che l’ha scelta.
E Filippo lo rivela nelle sue dichiarazioni: “Giulia era mia e doveva essere mia altrimenti non sarebbe stata di nessun altro” e così nella sua libertà di scegliere, di amare, di vivere, e’ divenuta preda facile della disperazione di un amore malato, assoluto, prepotente, ossessivo.
E’ la realtà dei femminicidi ormai all’ordine del giorno che sono divenuti una vera mattanza di questo secolo con madri, mogli, fidanzate, amanti, ex, vittime inconsapevoli della violenza inaudita di chi giura e spergiura di amarle e poi le lancia giù da un burrone, le nasconde in un carrello della spesa, le avvelena, le accoltella, le spara…convinti di essere nel giusto per aver subito il torto di un amore respinto e finito.
La sentenza è attesa per il 3 dicembre. “Prevedo una commisurazione della pena della giusta severità“, ha detto Giovanni Caruso, difensore di Filippo Turetta, spiegando “che i processi per reati come i femminicidi vengano definiti con l’ergastolo è abbastanza frequente. È una possibilità”.
Quale che sia la condanna di Turetta, ergastolo o meno, niente restituirà Giulia, l’ineffabilità di un destino atroce che ha colpito lei e chi l’amava rivelano la logica perversa del senso di onnipotenza dell’amore distruttivo dove in nome di una convinzione assoluta si arriva a togliere la vita a chi si pensa di amare e soprattutto si agisce ritenendo di essere nel giusto.
Turetta non guarda mai Gino Cecchettin che era in aula, e nonostante le lacrime non riesce a chiedere perdono per quello che ha fatto pur cercando di fornire dettagli chiarificatori alla dinamica dell’omicidio, perché è ancora troppo centrato e concentrato su se stesso, sul suo dolore, sul suo desiderio di possesso, sulla paura dell’abbandono definitivo post lauream, addirittura sulla sua volontà suicidiaria che più volte tratteggia, dell’incubo di se stesso padrone di un destino terribile (chissà se i suoi legali non proveranno a chiedere una perizia psichiatrica per ridurre l’entità della pena) ma mai poi mai le sue lacrime sono riuscite a riscattare un millesimo di secondo della sofferenza inferta a Giulia e al suo diritto di vivere, a causa del suo egoistico desiderio di affermare se stesso anche – del tutto ingiustificatamente – a costo di spezzare la vita di Giulia.