Edito da Star Comics nella collana Graphic Novel, “Leonid” di Frédéric Brrémaud e Stefano Turconi si inserisce in una lunga e fiorente tradizione. Prima di invadere il web infatti, i gatti avevano già conquistato letteratura, fumetto e animazione – oltre ovviamente alcune antichi pantheon. L’immagine del gatto è estremamente ricorrente in letteratura, fumetto e animazione, forse per il sovraccarico di significati che si porta dietro, che rendono le sue sfaccettature utilissime in narrazioni molto differenti fra loro. Basta accostare l’uso tragico e inquietante che ne fa Art Spiegelman nel suo “Maus”, alla figura colorata e gioiosamente anarchica del grande Fritz il Gatto di Robert Crumb, per coglierne l’estensione polisemica. E si potrebbero ancora citare l’immortale versione felina del Morfeo di Neil Gaiman, ne “Il sogno dei mille gatti” (recentemente riutilizzata in “Overture”) – e se non sapete di cosa sto parlando, è giunta l’ora per voi di leggere “Sandman” – o il Blacksad di Canales e Guarnido…
Il nostro volumetto però non ricorda nulla di tutto questo. A tutta prima sembra in realtà avvicinarsi molto a “La Gabbianella e il Gatto” di Sepúlveda, con il suo realismo fantastico e la spensieratezza quasi infantile: un’altra favola ambientata nel mondo reale. Non il nostro mondo ovviamente, quello degli animali da cortile, così distante eppure così simile. E in parte “Leonid” è anche questo. Eppure, a legger bene, questo gustoso dittico nasconde, o meglio rivela in trasparenza, un’animo più oscuro, se non inquietante per lo meno serioso. Leonid riporta alla mente un’altro libricino: il maneggevole “The cat inside”, sorta di diario minimo scritto da William S. Burroughs. In meno di 100 pagine lo scrittore di fantascienza ripercorre il suo rapporto con i felini, descrivendone la quotidianità che è riuscito ad osservare.
Dalle pagine di Burroughs traspare la sua personale ammirazione per questi animali, considerati “dèi del focolare, compagni psichici.” Ma tale ammirazione non nasconde la concretezza del suo oggetto, anzi sembra derivare proprio dalla sua attenta osservazione. Burroughs infatti dedica righe memorabili agli aspetti strategici della sua istintualità:
“Ho osservato che nelle lotte tra gatti quasi sempre vince l’aggressore. Quando in battaglia il gatto si accorge di avere la peggio non esita a scappare, laddove il cane combatte fino alla sua stupida morte.”
O a quelli predatori, riportandone vividamente i particolari:
“Oggi la gatta ha ucciso un coniglio non ancora adulto. Guardando fuori dalla finestra grande l’ho vista con il suo coniglietto tra le mascelle mentre lo trascinava sotto la veranda […] Dopo l’ho vista sulla veranda che si leccava il sangue dalle zampe con un’espressione molto soddisfatta.”
Senza la minima traccia della stucchevole vezzosità con la quale i gatti sono spesso rappresentati (e alla quale Internet ci ha abituati), Burroughs ce li presenta per ciò che sono, individuandone il vero fascino: il loro essere rimasti predatore raffinati, silenziosi ed efficaci, mai completamente addomesticati dall’uomo e per questo liberi in quella che a noi appare una selvatica magica eleganza Quanto di umano, più che di felino, ci sia in queste elucubrazioni è evidente. Ma d’altro canto la letteratura si nutre di questo tipo di proiezioni, soprattutto quella disegnata, che ha fatto ormai da anni di antropomorfismo e zoomorfismo (chiavi di volta del così detto genere “furry”) due dei suoi mezzi più efficaci.
“Leonid” recupera con efficacia (più o meno consapevolmente) queste suggestioni ambivalenti, costruendo una prospettiva ad altezza di gatto sul mondo di una tranquilla provincia contadina. Questo punto di vista apre le porte di un universo nuovo, fatto di tranquillità e atmosfere quasi infantili, nel quale però si affacciano ben presto elementi cruenti, a volte apertamente crudeli. La drammaticità autentica e il pericolo vengono solo parzialmente mediati dall’impianto cartoonesco dello stile. Il tratto deciso ed espressivo, riempito da colori chiari, pastello, anzi finisce per far emergere per contrasto, ad una lettura attenta, il lato selvaggio del racconto.
In questo modo, la piccola grande vicenda di Leonid riesce ad essere perno di una metafora (forse una serie di metafore) espressivamente ben riuscita, seppur non originale. Da un lato i personaggi conservano splendidamente la loro realtà: sono gatti, cani, topi, talpe… animali impegnati in una quotidiana lotta per la sopravvivenza, all’ombra dell’organizzato mondo umano. Eppure, in fondo sono anche noi. Sono pur sempre animali con caratteristiche umane, e tra le della narrazione emerge con chiarezza la strizzata d’occhio del doppio significato. Così Leonid è un giovane gatto, ma rappresenta al contempo l’eroe umano dotato di coraggio e intelligenza, in grado di formulare un pensiero accogliente e solidale; i due cani da guardia sono realmente cani da guardia, ma anche l’incarnazione della violenza muta (più che ceca), della rabbia contro l’ignoto, che non riesce a cogliere la differenza fra minaccia e necessità, fra innocenza e colpevolezza (Burroughs usava non a caso la stessa immagine: il cane addestrato dall’uomo ad abbagliare con rabbia a tutto ciò che non conosce).
Insomma una lettura fresca, intelligentemente multilivello, che potrebbe conquistare anche chi non ama particolarmente i felini.
GRAPHIC NOVEL
Frederic Brrémaud, Stefano Turconi
17×24, B, col, con alette, pp. 96, € 10
Data di uscita 23/11/2016, in fumetteria, libreria e Amazon