Molto spesso i miei articoli trattano argomenti piuttosto generali; altre volte, invece, mi concentro su questioni più specifici, soprattutto quando si parla di videogiochi. Che sia il primo o il secondo caso, quel che cerco di fare, in genere, è di analizzare l’argomento da lontano, provando a capire il maggior numero di sfaccettature possibili; ma oggi, purtroppo, non credo che riuscirò ad essere così distaccato e, di conseguenza, sarò meno lucido del solito. Perché l’argomento mi è molto caro ed è da quasi tutta la vita che ritrovo a sostenere discussioni piuttosto accese (soprattutto con chi non è della mia generazione) riguardanti questo tema.
È di qualche giorno fa la notizia che secondo alcuni giornalisti sportivi del giornale tedesco Bild la Nazionale di calcio tedesca sia stata eliminata dai mondiali a causa di partite clandestine notturne ai videogiochi, che i calciatori avrebbero effettuato durante il ritiro. Io però non voglio analizzare questo evento, anche perché non c’è molto da commentare, visto che, tra l’altro, nessuno dei diretti interessati ha confermato. No, io vorrei piuttosto analizzare un altro fenomeno, ossia la demonizzazione dei videogiochi, soprattutto da parte di chi ne sa poco o nulla.
Questo tipo di fenomeno nasce praticamente assieme ai videogiochi stessi. Ma, mentre i videogiochi venivano esplorati dai ragazzini degli anni ’80, negli stessi anni i genitori iniziavano a vedere questo nuovo media come qualcosa di estremamente deviante per le povere menti dei loro bambini. Fin quando erano gli anni ’80 e i videogiochi si erano sviluppati da poco, questa esecrazione era in qualche modo giustificabile, visto e considerato che l’uomo tende ad allontanare e ad avere paura di ciò che non conosce. Ma sono passati più di trent’anni, e il fatto che ancora si riscontrino problematiche di questo tipo (perché il caso della Nazionale tedesca non è un caso isolato) evidenza come questo sia il periodo dell’indignazione, chiaramente non solo in ambito videoludico.
Senza addentrarmi in ambiti che non conosco, posso dirvi che mi sembra veramente assurdo che nel 2018 la maggior parte della stampa d’informazione non riesca ancora ad inquadrare il fenomeno videoludico. Perché se si guardasse un po’ più a fondo in questo mondo si capirebbe che gli appassionati (come me e come altri milioni di persone) non sono dei pazzi sociopatici e omicidi, così come la stampa generalista li dipinge il più delle volte; sono semplicemente dei ragazzi che hanno una passione. Questa passione, tra l’altro, ha subito un’evoluzione incredibile negli ultimi anni. Ho già scritto in ambito a questo per cui non mi dilungherò più di tanto qui; quello che, però, ci tengo a precisare è che i videogiochi (oltre ad essere una forma di intrattenimento) grazie alla suddetta evoluzione è diventata, in alcune suoi generi, paragonabile alla più fine delle arti. Spesso e volentieri, soprattutto quando si parla di alcuni autori in particolare, il videogiocatore non gioca solo per passare il tempo divertendosi. Egli gioca per immergersi in un mondo fatto di incredibili storie, paragonabili ai migliori romanzi, e splendide immagini, tranquillamente incorniciabili in magnifici quadri.
È questo il principale motivo per cui mi sono stancato di discutere con certi elementi che, aborrendo i videogiochi, non fanno altro che esprimere la propria ignoranza e chiusura mentale. Se solo fossero in grado di togliersi il proverbiale prosciutto dagli occhi scoprirebbero un altro mondo. Se solo non fossero così limitati potrebbero apprezzare anche di più il mondo reale. Non chiudete le vostre porte ad un mondo solo perché è dipinto come l’inferno. Se le volete chiudere lo stesso… beh, non sapete cosa vi state perdendo.