Trama: Angelo Vinci è un uomo ordinario: non è drogato, né alcolizzato, nessun trauma infantile e nessuna particolare predisposizione alla violenza. Angelo vive con l’anziana zia che non sopporta e trascorre i suoi giorni a fumare. Non lavora, non esce e non ha amici, è sempre confuso e non dorme. I medici cercano di aiutarlo, ma lui non crede alle loro cure; l’unico suggerimento che accetta è quello di mettere i suoi pensieri nero su bianco. E così Angelo comincia a scrivere, annota sogni, riflessioni, ricordi, scrive della vita che si limita a osservare dalla finestra, una vita che, alla fine, prende il sopravvento e si rivela per quello che è: una grande commedia da cui non si può scappare.
Eretica Edizioni
Recensione: La copertina: semplice e diretta. Rappresenta una finestra, la finestra da cui Angelo, il protagonista guarda il mondo che lo circonda, ma più che mondo lo definirei un microcosmo, quello dell’edificio in cui abita. La finestra è il suo occhio, l’unico contatto che ha con gli altri. Lui osserva la vita dei condòmini come se fosse un teatro dove ogni atto è diverso giorno per giorno.
Dice di avere la “malattia dei falliti” e questa cosa la accetta, regolarmente si fa visitare, già conosce tutto l’iter e le risposte che deve dare ai medici, assume farmaci, tutto senza ribellarsi. Per alcuni aspetti lo si potrebbe paragonare all’inetto per antonomasia: Zeno Cosini, ma personalmente l’ho percepito più come un rassegnato e questa sua situazione pare accettarla. Fuma, fuma tanto, una sigaretta dopo l’altra, altra sua valvola di sfogo ed altra affinità con Zeno, ma Angelo non è minimamente intenzionato a smettere.
I medici gli consigliano di scrivere i suoi pensieri ed Angelo accetta di buon grado la cosa. E’ ottimista, spera che la parte più recondita di sé riesca a ricordare ciò che ha fatto di buono, lui è stato una persona normale, poi, non ha più avuto voglia di fare, ha studiato, ha lavorato, ha avuto una compagna. Così, raccontando, porta il lettore nel suo passato e nel suo presente: i genitori anaffettivi, entrambi morti, dai quali avrebbe voluto anche un semplice sguardo di dolcezza; zia Grazia, con cui vive e non sopporta; le sue crisi visionarie ed il Pavor Nocturnus.
Un uomo che spesso tocca il fondo, si trascura e solo davanti ad uno specchio prende coscienza di quello che è, pensando che forse, se da giovane avesse saputo il suo destino avrebbe tentato di ricorrere ai ripari prima di giungere in quello stato.
Il tema è delicato, buio, ma la narrazione è brillante, eccellente nello stile che travolge il lettore e ne stimola la curiosità. Angelo è l’Io narrante, personaggio ammaliatore ed irresistibile, fa simpatia, ma soprattutto ci porta nella sua psiche che, spesso, sembra normalissima.
Giuseppina Sciortino, siciliana, vegetariana, vive a Milano e lavora per una nota società di telecomunicazioni. Laureata in Lingue e Letterature straniere, ha scritto racconti e poesie per vari siti e riviste. L’obiettore di coscienza è il suo primo romanzo edito.
INTERVISTA
Perché “l’obiettore di coscienza”, come mai questo titolo?
Ci si riferisce al lavoro abitualmente svolto da una persona, il mestiere oppure la professione, per definire la persona stessa. Personalmente ritengo che l’essere umano abbia una complessità tale da non permettere una tale semplificazione. È chiaro che si possa essere impiegato, scrittore, madre o padre allo stesso tempo, che sia possibile cambiare lavoro o svolgerne diversi contemporaneamente. Cos’è dunque ciò che più ci definisce? Siamo quello che facciamo? Tali domande sono state lo spunto per la scelta del titolo del romanzo, scelta caduta infine su una delle attività che Angelo Vinci, il protagonista, ha svolto, ovvero l’obiettore di coscienza. Ovviamente la definizione ha una forte valenza simbolica: un obiettore di coscienza è un individuo che rifiuta di adempiere a un obbligo previsto dall’ordinamento giuridico in virtù delle sue convinzioni morali, lo stesso che fa Angelo nei confronti della società in cui vive, che rigetta in toto. A questo proposito, mi fa piacere riportare le parole che Fabio Orrico ha dedicato al mio libro sul blog Liberi di scrivere e che colgono appieno questa mia intenzione: “Il titolo stesso del libro ci indica la sua lettura che insegue temi di rinuncia e resa ma anche, paradossalmente, una forte volontà assertiva. Angelo obietta e traligna da una coscienza che è senso comune, modo di pensare e intendere la vita standardizzato, negando il quale c’è il mare aperto delle possibilità, una dimensione che, come tutti i movimenti verso l’ignoto e privi di ogni possibile bussola, può annichilire.”
Chi è Angelo?
Me lo sono chiesta più volte durante la creazione del personaggio. Chi è Angelo Vinci? Un disoccupato, un uomo comune, un fallito, un malato, uno spirito ribelle? Tutto questo, forse. Ancora più importante è la domanda: chi potrebbe essere Angelo? E se lo chiede anche lui nel suo lungo flusso di coscienza, quando fa riaffiorare i ricordi di un amore lontano, perduto per sempre, nel rimorso di un figlio mai avuto, nel lamento per una giovinezza sfiorita. Angelo è soprattutto un uomo, pieno di debolezze, malato sicuramente, incompreso, sull’orlo di un baratro. Angelo è anche un sognatore, un animo sensibile, non a caso ho aperto il libro con una citazione tratta da Le notti bianche, questa: “Invano il sognatore rovista nei suoi vecchi sogni, come fra la cenere, cercandovi una piccola scintilla per soffiarci sopra e riscaldare con il fuoco rinnovato il proprio cuore freddo, e far risorgere ciò che prima gli era così caro, che commuoveva la sua anima, che gli faceva ribollire il sangue, da strappargli le lacrime dagli occhi, così ingannandolo meravigliosamente.” Nel finale aperto la mia speranza: che Angelo si svegli e accenda quella scintilla.
Quanto è labile il confine tra la patologia di Angelo e la “normalità”?
Questa domanda contiene in sé la risposta: il confine è labile. Sembra incredibile, ma tutto ciò che ho scritto è finto e vero allo stesso tempo. Finte le situazioni, i personaggi, i nomi, vere tutte le emozioni provate. Angelo sono io tutte le volte in cui sono stata triste, arrabbiata, in preda agli incubi, all’ansia, sue sono tutte le conseguenze delle sue scelte. Chi non si è mai sentito solo e sconfitto? L’idea iniziale era scrivere un libro sul dolore, la sofferenza, le emozioni negative di cui spesso ci vergogniamo, ma che esistono e ci rendono umani così come l’amore e la felicità. Angelo però ha una fisionomia ben precisa, una sua coerenza nel modo di agire e vedere la vita, un’identità che non è assolutamente sovrapponibile alla mia. E poi Angelo è malato. Pensavo fosse depresso. Un amico psicologo intervenuto alla mia unica presentazione lo ha definito come un “narcisista vigilante”.
Possiamo paragonarlo a Zeno Cosini?
Spesso è stato fatto questo paragone, il che mi inorgoglisce, dato che considero l’opera di Svevo un capolavoro assoluto. In effetti, ci sono delle similitudini, anche se dovute più a certe caratteristiche dei due personaggi che non alla struttura e al contenuto dei libri. Innanzitutto, non sono mai stata d’accordo sulla preponderante inettitudine di Zeno Cosini, un uomo che compie scelte dettate da convenienza sociale, che allaccia relazioni amorose extraconiugali, che ha un lavoro normale e una famiglia, in pratica l’esatto opposto del mio protagonista. In entrambi ravvedo una forte volontà di autodeterminazione che nel mio Angelo porterà a conseguenze estreme. In conclusione, Angelo ha il coraggio che a Zeno manca nel rifiutare le convenzioni che disprezza, mentre è inetto nel non riuscire a farsi accettare dalla società.
Angelo è più un inetto o un anticonformista?
Entrambe le cose. Angelo è umano, imperfettissimo. Malato. Come tutti ha una possibilità.
Sta lavorando a qualche nuovo romanzo?
Sono caotica e metodica assieme, lavoro a più progetti simultaneamente. Ho appena terminato di editare un romanzo in terza persona che potrei definire di formazione, sono in fase di revisione una silloge poetica e una raccolta di racconti, da completare un romanzo breve d’ispirazione autobiografica. L’idea è scrivere sempre.