Sotto il solleone, una delle serie più controverse e innovative dell’ultimo ventennio torna con volti nuovi e contenuti semi-usati, ma sempre portando in dote una gran fetta di divertimento. Ciò premesso, non vi nasconderò il mio debole per la spassosa rappresentazione aliena che può imputarsi alla saga; anche perché il connubio Tommy Lee Jones/Will Smith, proprio perché apparentemente così improbabile, ha finito per costituire una delle più gustose miscele esplosive dei film con coppie di protagonisti. Oltre che una di quelle che resteranno maggiormente impresse nella memoria del matusa-spettatore medio qual è lo scrivente.
Stavolta, ventidue anni dopo il primo capitolo, si punta sul connubio uomo-donna. Ereditando direttamente una coppia di assi da “Thor-Ragnarok”. E pare funzionare.
Molly (Tessa Thompson) è una bimba che s’imbatte in una creatura aliena; aiuterà questa a scappare, riuscendo a osservare all’irruzione in loco dei Men in Black senza farsi cancellare la memoria.
Per tutta la vita conserva il segreto dell’esistenza degli alieni; al contempo, matura il sogno di poter diventare un agente segreto. Il desiderio di dar corpo alla sua brama la porta fino al punto di scoprire il quartier generale dei Men in Black. E mica è tutto qui. Addirittura, riesce a persuadere l’Agente O a darle una chance. Questi gliela concede, insieme a un completo nuovo di zecca e a un’arma, in perfetto stile degli uomini in nero. L’Agente M(olly) dovrà sgobbare per meritarsi sul campo il privilegio di poter disporre del “neutralizzatore” e diventare la partner operativa dell’Agente H (Chris Hemsworth), ribelle e spaccone. L’apprendistato avrà luogo tra i paralleli di Parigi e Marrakech, dove riusciranno a trovare l’intesa giusta, arrivando a salvare il mondo da mostri e talpe. Lo schema è in fondo, piuttosto semplice: la fanciulla al fianco dell’eroe con le spalle larghe. Chris Hemsworth ricalca le gesta intrepide dell’ex principe di Bel Air; e Tessa Thompson incarna la stagista in prova che eccelle in tutto, arrecando all’adventure la più flautata visione femminile.
“Men in Black: International” non ha la pretesa di soppiantare dal cuore dei fan i tre volte agenti K (Tommy Lee Jones) e J (Will Smith), ora in pensione. È un ‘reboot’ che rende giusto omaggio ai predecessori, senza troppo cercare di cancellare la memoria dello spettatore; tuttavia, gli effetti speciali sono di primissimo livello e il regista cerca di ostentare nuovi tesori visivi ed inediti del mondo umano e di quello alieno, senza rinunciare a dare una “tinteggiata” high-tech all’artiglieria degli ‘uomini in nero’.
Anche il quarto capitolo della saga può contare su una poliedrica Emma Thompson, oltre a giovarsi dell’ingresso di Liam Neeson; che, alla testa della divisione britannica dei MIB, interpreta il grande agente T, sparaflashando i vigilanti giustizieri accumulati negli anni per indossare i panni degli (anti)eroi con l’aria contrariata e il desiderio di vendetta (rammentiamo, ad esempio, Taken, L’uomo sul treno, Un uomo tranquillo).
Dietro l’autoapposizione di un’etichetta vagamente femminil-conformista, che potrebbe non bastare a riscuotere l’incondizionato consenso dell’universo femminile, “MIB: International” resta tuttavia un’opera di ludica qualità generale, implementata rispetto ai primi tre capitoli con commenti sparsi sulle più recenti tendenze dell’umanità a fruire in maniera matta e disperata del mondo – tanto patinato quanto ombroso e fallace – dei social, tirando a terra la riga dell’equidistanza rispetto ad opposte correnti di pensiero. Utilità, che si scontra, molto spesso con l’irritante voluttà del superfluo.
Il regista F. Gary Gray regola abilmente i passaggi scenici sul pianeta, girovagando da New York per arrivare a Londra, per poi inoltrarsi da Parigi fino a Ischia, a ridosso del Castello Aragonese.
Da ultimo, segnalo i pantaloni rosa di Chris Hemsworth, buffi al punto che potrebbero farvi andare di traverso il popcorn.
Certo di ulteriori capitoli, vi lascio con un breve inciso.
Alla prossima sparaflashata, gente.