Oggi, 10 ottobre, è la Giornata Mondiale della Salute Mentale (World Mental Health Day).
Istituita nel 1992 dalla Federazione Mondiale per la Salute Mentale (WFMH) e riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno si realizzano campagne di sensibilizzazione e attività di informazione volte a promuovere la consapevolezza e la difesa della salute mentale contro lo stigma sociale.
Dal 1992, l’iniziativa si caratterizza per portare all’attenzione pubblica un aspetto sempre diverso relativo alla Salute Mentale.
Per questo 2022 il tema prescelto è “Rendere la salute mentale e il benessere di tutti una priorità globale” (Make Mental Health & Well-Being for All a Global Priority), perché in un mondo scosso dagli effetti della pandemia, delle guerre e dell’emergenza climatica, il benessere di tutti deve tornare ad essere prioritario.
Purtroppo, l’incertezza per il futuro e le conseguenze psicologiche e sociali trascinatesi nel post-covid si stanno facendo sentire enormemente con una impennata delle persone colpite da fragilità mentali e forme depressive di varia entità.
Peraltro, la portata degli eventi traumatici, quali la guerra, la grave crisi economica, la perdita di posti di lavoro, la mancata certezza di esserci liberati del covid, l’incombente panico per il domani è tale che il tasso di persone vulnerabili che sono toccate da problemi mentali sia aumentato a livello globale con il rischio che la loro stigmatizzazione e discriminazione siano un ostacolo all’inclusione e all’accesso alle cure adeguate.
Eppure gli esperti ribadiscono che, con le giuste strutture sociali e istituzionali di supporto e di accompagnamento, la prevenzione dei disturbi mentali e il benessere di ogni cittadino del mondo è possibile.
La salute mentale deve essere allora, contestualmente, una priorità e un diritto, nella prospettiva di una consapevolezza che non si tratti di un problema esclusivamente individuale del singolo ma essenziale per il benessere della collettività nel suo insieme.
Non è un caso che il bonus psicologo qui in Italia abbia avuto un notevole “successo”, termine eufemistico per evidenziare la pioggia di istanze volte e richiederlo e ad usufruirne, soprattutto per i ragazzi adolescenti, i più colpiti dalle restrizioni sociali provocate dalla crisi pandemica degli ultimi anni che hanno ridotto la loro socialità in maniera consistente e influenzato le dinamiche relazionali così importanti a quell’età.
La tematica ha, poi, acquistato una sua enfasi anche per gli avvenimenti della settimana appena trascorsa che hanno travolto con un’onda d’urto tutta l’Italia da Nord a Sud, da destra a sinistra, da politically correct a politically scorrect.
Un concorrente del Grande Fratello Vip, Marco Bellavia, che ha allietato i bambini degli anni 90 con la sua conduzione di Bim Bum Bam e le sue diverse partecipazioni a fiction accanto a Cristina D’Avena negli anni ’80, partecipa al reality ma non regge alla pressione delle mille luci e dopo lacrime, isolamento, discriminazione, disperazione, attacchi di panico, notti insonni, emarginazione, molla tutto e alla faccia della penale contrattuale, con una frase “sono un pò cotto, io me ne andrei”, abbandona il programma nel silenzio della casa…e dei suoi compagni di viaggio.
Da quel preciso istante, il caso Bellavia esce dalla reclusione nella porta rossa e diviene caso nazionale, con tanto di dibattito, discussioni e accuse gravissime, di bullismo, esclusione, ghettizzazione, stigmatizzazione come “pazzo”, “non sta bene”, “merita di essere bullizzato”, “deve andare alla neurodeliri”, “è venuto a fare psicoterapia gratis”…
Montano le proteste sui social e anche fuori alla casa del GFvip a Cinecittà, con accuse di bullismo e discriminazione nei confronti di chi aveva manifestato apertamente il suo disagio personale e la sua fragilità mentale, con una frase con cui Bellavia, ammettendo di essere particolarmente provato, chiede apertamente aiuto alle 22 persone con cui convive, con parole commoventi che avrebbero dovuto o, quantomeno, potuto scuotere i concorrenti ma che, invece, ne hanno stigmatizzato per sempre l’indifferenza.
Marco Bellavia si presenta come mental coach 4.0, eppure è vittima di se stesso e dei suoi stessi demoni, come li chiama lui stesso.
La bruttezza, la vergogna, lo sdegno per le parole pronunciate dai concorrenti, le accuse rivolte anche de visu al concorrente fragile, l’isolamento e l’indifferenza spietata nei confronti di chi si rotola sul pavimento piegato dal dolore, rannicchiato nella sua disperazione, la logica del branco che mette nell’angolo il diverso, lo crocifigge e lo condanna, sono state le dinamiche che hanno fatto sdegnare e risentire gli spettatori del reality di canale5 e non solo.
La bolla mediatica esplode!
Gli sponsor, ai primi campanelli d’allarme lanciati sui social, subito prendono le distanze dalle frasi pronunciate che via via cominciavano a circolare nella loro gravità e insensibilità, gli utenti del reality insorgono contro il susseguirsi di accuse e malumore per ciò che si è visto e sentito, la tv è costretta a prendere atto che qualcosa è andato storto, che qualcosa è inevitabilmente sfuggito al controllo.
C’è fibrillazione seria intorno ad una indifferenza violenta unita ad un’indignazione collettiva nei confronti di chi ha, persino, esultato dopo l’uscita definitiva di Marco Bellavia dal programma.
Eppure, prima di arrivare alla serata della resa dei conti, condotta dal padrone di casa con evidente imbarazzo e difficoltà, nessuno, o quasi nessuno, ha fatto un mea culpa dei propri comportamenti, delle proprie parole, dei propri gesti che hanno ferito, hanno sconcertato, hanno testimoniato insensibilità e una indigesta ma concreta ignoranza dei sentimenti.
La logica del “tutti contro uno” si è messa in atto, così in automatico, quasi senza progettazione, nè pianificazione o strategie del gioco…a decidere su tutto l’istinto animale di escludere il debole e toglierselo dai cosiddetti, come qualcuno ha esclamato alla sua resa con l’abbandono della casa.
Il paradosso sociologico che emerge dall’esperimento sociale della convivenza forzata del Grande Fratello di quest’anno è stata la totale insensibilità emersa proprio tra chi è entrato nella casa per testimoniare il proprio dolore, la propria lotta, la propria sofferenza, la propria persecuzione, la propria esclusione o emarginazione sociale e professionale: madri che hanno perso figli prematuramente, ammalati che convivono con le discriminazioni di genere e le etichette sociali, violente e spietate, concorrenti che hanno combattuto contro malattie feroci o hanno subito violenze sessuali, chi ha vissuto l’eclissi della sua carriera o l’ha macchiata con episodi discutibili, chi ha vissuto cambiamenti di genere o è in rotta con la famiglia, chi ha vissuto una infanzia difficile e chi si vuole ritagliare uno spazio in tv, dopo essere stato accantonato…insomma nessuno dei concorrenti pur portando ciascuno un vissuto doloroso, ha trasformato questo dolore in emotività, in “pietas”, in comprensione.
Nessuno di loro, ognuno aggrappato al suo dolore, legittimato dalla sua sofferenza, portatore di lacrime e tormento, ha aperto il cuore a Marco che peraltro, lo ha chiesto apertamente e, ironia della sorte, dopo la sua preghiera di aiuto, si è ritrovato dritto dritto in nomination, e non reggendo più alla strafottenza dei suoi coinquilini, è uscito infischiandosene delle regole del gioco.
Quale che sia la fragilità di Marco, mentale, psichica, relazionale, è disarmante che dinanzi alle telecamere, con gli occhi puntati addosso h24, e da pochi giorni costretti alla reclusione televisiva, tutti i concorrenti non hanno avuto remore comportamentali, non hanno esitato ad esiliare il diverso, ad etichettarlo, a prenderlo di mira e accusarlo, e paradossalmente, in modo più violento, proprio da chi lottava contro le etichette feroci, ad essere spedito alla neurodeliri proprio da chi doveva tendergli la mano, perchè avrebbe dovuto conoscere il dolore dell’isolamento e della discriminazione, a gridargli in faccia che se stava male, e stava male, aveva sbagliato a partecipare al gioco, e, poi a chiusura di tutto, a giustificare tutto il circo insensato di cattiverie perchè in fondo in fondo se lo meritava…anzi meritava di essere bullizzato…perchè troppo lagnoso e lacrimevole, troppo cedevole e debole.
Il branco decide e isola.
E la sconfitta sociale più terribile è che nella prima puntata in cui Marco è assente, nessuno dei concorrenti ha preso coscienza di quanto accaduto, di quanto sia stato grave quanto accaduto e tutti belli acchitati, pieni di paillettes e lustrini, tirati a lucido e ben truccati, perfettamente addobbati per la prima serata, in diretta tv, erano pronti per vivere una mega serata da VIPPONI.
E il padrone di casa, per quanto criticabile, ha dovuto fare una fatica enorme per far capire quanto tutto fosse stato grave, a spizzichi e bocconi ha imboccato ogni concorrente cercando di aprirgli gli occhi, di ridestarli alla realtà, di renderli lucidi rispetto alle parole usate, alle accuse fatte, all’indifferenza mostrate con disinvoltura e senza pentimento…ma di parole sentite, di atteggiamenti contriti e di volti consapevoli in grado di comprendere la gravità del tutto non se ne sono visti…anzi qualcuno ha provato persino a giustificarsi (!?!) messo a tacere, a dire il vero, istantaneamente da un pubblico in protesta ben prima che lo facesse il conduttore.
Indubbiamente, è costata molto la scelta di rinunciare a concorrenti forti per questa edizione, come Ginevra Lamborghini e Giovanni Ciacci, funzionalissimi con le loro storie e personalità alla narrazione effervescente e fuori dalle righe del Gfvip, proclamando, prima, una vittima sacrificale per l’infelice frase sul bullismo e, poi, un condannato dal televoto lampo, ma, forse, è davvero troppo poco, perchè di bullismo e di emarginazione si soffre e, talvolta, purtroppo si muore.
Negli ultimi tempi, i suicidi di giovanissimi per forme di bullismo sui social e non solo, si sono moltiplicati.
Dopo la scelta atroce, devastante di togliersi la vita, si scoprono i soprusi, gli abusi, le violenze subite, l’isolamento e la ghettizzazione, spesso dagli stessi amici con cui si vive la quotidianità.
Molto spesso, chi compie questa scelta non lancia segnali di allarme se non quando ormai è troppo tardi e tanti genitori vengono travolti da una verità silenziosa che ignoravano.
E il Grande Fratello, forse anche inaspettatamente per gli stessi autori, non è stato in grado di controllare il processo di violenza verbale e comportamentale messa in atto dal branco e così si è consumata, in diretta tv, una saga brutale e inguardabile, con episodi esecrabili e condotte inaccettabili, soprattutto agite da chi è entrato per dare voce alla sofferenza e al dolore che la vita purtroppo riserva.
E se è pur vero che la fragilità di un essere umano era lì sotto gli occhi di tutti, è emersa tutta chiara, luminescente, brutale la mancata educazione ai sentimenti di cui tanto si avverte la necessità, soprattutto per le generazioni più agèe; gli unici che hanno rivolto uno sguardo pietoso o due parole di conforto al povero Marco sono la generazione dei millenials.
Una brutta pagina di televisione, non solo un brutto faccia a faccia con la cattiveria dell’uomo…capace di far guerra, capace di calpestare gli altri, capace di uccidere donne innocenti, capace di ferire e inferire.
Ma forse, senza entrare nel merito della trasmissione tv, che resta un programma televisivo, con i suoi autori e le sue pulsioni, con la necessità di sopravvivere agli sponsor e di ritrovare una dignità un pò offuscata da tutto questo, il dibattito che ne è scaturito ha reso più consapevoli chi ha bisogno di aiuto che può curarsi, chi ha diritto ad un ripristino del proprio benessere psicologico che è poi di tutti, così come nelle intenzioni ideologiche della Organizzazione Mondiale della Sanità.
E oggi sulla scia di quanto è accaduto, si prova ad accendere una luce nel buio della solitudine e dello sconforto di chi vive sotto lo scacco di crisi depressive e disturbi psicologici.
“Lieve è il dolore che parla…il grande e’ muto!” così scriveva Seneca una vita fa eppure è emblematico ciò che descrive in poche parole perché è così che accade…lentamente la depressione mangia l’anima, la erode, la strazia, la strappa.
Si perdono i punti di riferimento, si perde se stessi.
L’impotenza sta lì nel far fronte al mostro che hai dentro, a combatterlo, a scacciarlo…ecco perché c’è bisogno di una mano tesa, di una spinta ad uscire dal tunnel, di una fuga da se stessi e dai propri demoni, ma da soli è impossibile farcela, bisogna partire dall’alto, da decisioni politiche anzitutto che, peraltro, hanno completamente ignorato il problema della salute mentale degli italiani nelle ultime elezioni eppure è sotto gli occhi di tutti la difficoltà di sopravvivere per molti, con un coinvolgimento della scuola che nella sua trasversalità di conoscenze e competenze deve fornire strumenti e supporti anche nella valorizzazione dell’educazione al valore dei sentimenti e delle emozioni, allora forse la società che vivranno i nostri figli potrebbe diventare meno cinica, indifferente e escludente.