Libera trasposizione dal romanzo di Jack London ambientato in una città portuale ideale alla fine del secolo scorso, dove Luca Marinelli – che seguo dai tempi di “Lo chiamavano Jeeg Robot” – dimostra, una volta di più, il suo talento purissimo. In questo contesto, Luca Marinelli è un “Martin Eden ideale” in un film che rispetta l’opera originale e ne ribadisce il messaggio: cultura e diversità vanno valorizzate.
Martin Eden, marinaio napoletano con gran fame di vita e un enorme coraggio, salva Arturo Orsini da un violento pestaggio. Per questo, Martin viene accolto con riconoscenza dalla famiglia del ragazzo salvato e presentato alla sorella Elena. È colpo di fulmine, e il desiderio di “essere degno” di Elena spinge Martin a istruirsi (usando le sue parole di marinaio dotato della sola licenza elementare, di “impararsi”). Da autodidatta, legge e assorbe, potendo contare su una invidiabile intelligenza naturale.
Ecco quindi affiorare la sua dote migliore: la scrittura. Ma la scrittura, almeno inizialmente, non paga, perché gli sforzi letterari di Martin vengono rifiutati dalle redazioni che respingono ogni suo saggio, racconto o poesia, troppo nuovi e diversi rispetto a quei gusti standardizzati che si preferisce di soddisfare per ottenere risultati “sicuri”. E per Elena e la sua famiglia borghese la mancanza di una “posizione” è un problema, o meglio, una pecca imperdonabile.
Nel rifarsi al romanzo più celebre dello scrittore americano Jack London, il ‘Martin Eden’ di Pietro Marcello sposta l’azione da Oakland a Napoli, scomponendo ancor più un narrato che già ab origine ostentava di possedere infinite modalità di lettura.
Dunque Marcello intercala alle scene di finzione, ambientate durante i primi dell’Ottocento, materiali di repertorio tratti da numerosi archivi (uno almeno, quello dei due bambini che ballano, già visto al cinema) in epoche diverse, con grande libertà di movimento e la capacità di giustapporre le vicende narrate da London alla condizione sempiterna di una Napoli insopprimibilmente vitale anche a fronte di condizioni economiche punitive. La variegatezza di colori e nuance, oltre alla colorizzazione dal bianco e nero originale, a opera degli abili tecnici dell’Istituto Luce, aggiunge livelli cromatici a quelli filmici e letterari di una sceneggiatura che si rivela il core del film.
Il montaggio è rapido ed efficace (pur avvertendo la carenza del gusto di Sara Fgaier, questa volta sostituita al fianco di Marcello dalla francese Aline Hervé e da Fabrizio Federico). La fotografia e la scenografia sono, opportunamente, affidate a mani diverse per le parti in cui Martin è giovane e quelle in cui ha raggiunto l’età adulta: perché anche il romanzo originale è diviso nettamente in due, l’entusiasmo giovanile del protagonista e il disincanto dell'(anti)eroe “cresciuto”. Il problema semmai è che mentre nella prima parte Luca Marinelli è perfettamente credibile nei panni del protagonista incolto ma pieno di vita e di volontà di apprendere, nella seconda la sua caratterizzazione risulta artefatta e sopra le righe, complice anche un pessimo hairstyling.
La storia di Martin Eden è notoriamente quella semiautobiografica di Jack London, autodidatta arrivato al successo letterario solo dopo una serie infinita di lavori umili, e probabilmente corrisponde a qualche elemento personale della vita di Pietro Marcello, anche lui cresciuto con grande fatica solitaria all’interno di un’industria cinematografica che premia più spesso il franchising che la visione originale.
Così come Martin Eden racconta un’audacia frustrata, Marcello manovra con spregiudicatezza la cinepresa inseguendo le peripezie di un autore incompreso, e si prende continue libertà registiche nella forma sincopata della narrazione, che sceglie gli eventi salienti e li allinea con la frenesia che fa fremere il protagonista, senza preoccuparsi di esplicare meglio allo spettatore gli elementi utili a una integrale interpretazione della trama. Luca Marinelli è un Martin Eden ideale, con quello sguardo leggermente allucinato che rende comprensibili le accuse di “megalomania” rivolte dai placidi borghesi adagiati nel proprio intoccabile benessere. Meno adatta nei panni di Elena Orsini Jessica Cressy, il cui accento francese non è mai giustificato, che fa rimpiangere l’intensità espressiva della fisicamente simile Vicky Krieps ne ‘Il filo nascosto’. Più ancora che Carlo Cecchi nei panni di Russ Brissenden (perché sono stati mantenuti in inglese solo il suo nome e quello di Martin?) sono straordinari i ruoli di contorno, affidati ad attori del palcoscenico napoletano: Autilia Ranieri (Giulia, la sorella di Martin), Gaetano Bruno (il giudice Mattei), e soprattutto la meravigliosa Carmen Pommella (Maria). Chiude il cerchio il sempre efficace Marco Leonardi, qui nel ruolo del marito di Giulia. Straordinario anche il commento musicale che mescola Debussy a Teresa De Sio con altrettanta libertà di quella con cui Marcello unisce immagini girate oggi e ieri.
Ma è soprattutto la dimensione sociale e politica, già presente nel romanzo originale e ulteriormente sviluppata dalla sceneggiatura di Braucci e Marcello, a rendere ‘Martin Eden’ un apologo morale adatto ai nostri giorni, che sottolinea il valore della cultura e la scarsa accoglienza che le viene riservata, denuncia l’immobilismo sociale e la mancata accettazione di chi è diverso, e mette a nudo la paura che la verità incute in chi vive nella menzogna e nell’autoinganno. Marcello ha persino l’ardire di sottolineare la componente ironica di queste derive genericamente umane, e specificatamente italiane, ancora una volta rivelando la sua affinità elettiva con il temerario Jack London