La Storia parla attraverso fatti, personaggi e documenti ma, rispetto alla semplice ricostruzione, altra cosa è avere una visione d’insieme delle cause di alcuni fenomeni ricorrenti: allora perchè la rivolta attraversa in diversi momenti tutti i secoli del vicereame spagnolo fino all’unità d’Italia? Partiamo da un esempio che ci riguarda direttamente : la rivolta di Masaniello. Da qui potremo “tirare fuori” una possibile risposta tra le righe dei fatti e dei personaggi.
Può essere un giusto presupposto ammettere che della rivolta finita il 16 Luglio 1647 nella Basilica del Carmine a Napoli si è scritto in abbondanza e da mille angolazioni diverse. Il viceregno spagnolo in primis con i suoi uffciali e burocrati (nei diversi periodi della dominazione Spagnola) ma anche le parentesi Austriaca prima e Francese poi, hanno prodotto una messe di documentazione cartacea tale ( sono ancor’oggi negli archivi ecclesiastici , militari, notarili e storici di tutta europa (Spagna e Italia in primis) )che è quasi impossibile non avere un quadro chiaro degli eventi che si sono succeduti.
Nel mondo di internet e dell’accesso diretto non filtrato alle informazioni è anche facile interrogare la nota enciclopedia online “Wikipedia” (alla quale si rimanda https://it.wikipedia.org/wiki/Masaniello#Il_brevissimo_%22regno%22_di_Masaniello) per capire come Tommaso Aniello, un Pescatore e Pescivendolo di Vico Rotto al Mercato, a partire dal 6 Giugno 1647 abbia portato con sè il popolo alla rivolta contro le pesantissime gabelle imposte dal Vicereame Spagnolo e contro i deliberati soprusi della potentissima nobiltà terriera. La rivolta nasceva in un contesto internazionale di particolare fragilità per la Corona Spagnola nel contesto europeo, il che spiega in parte la reazione condiscendente e disponibile della Spagna e del Vicerè dopo le prime efficaci azioni della rivolta, “reazione” che culminò il 10 Luglio con la lettura in pubblico del Privilegio di Ferdinandio il Cattolico, ratificato da Carlo V nel 1517 che sanciva per il popolo una rappresentanza uguale a quella dei nobili, oltre alla riduzione ed equa ripartizione delle tasse tra le classi sociali.
Dalla sequenza dei fatti però emerge anche come colui che era riuscito a far sedere un rappresentante del Popolo su uno dei “Sedili” (organi di rappresentanza dei poteri della città) di Napoli, probabile vittima di una malattia degenerativa (o più miticamente “inebriato e deviato dal potere”), fosse poi riuscito in breve tempo, e nonostante i vantaggi reali ottenuti per il Popolo, a farsi odiare – da quello stesso popolo – con ordini palesemente insensati, richieste di esecuzioni sommarie di popolani e oppositori nonchè discorsi sconclusionati dal pulpito di casa sua (fattogli costruire dal Vicerè in persona). È quindi ben presto che si giungeva alla conclusione drammatica di questa rivolta attraverso due strade ben riconoscibili nel corso degli eventi: sia per mano diretta della Spagna che aveva pagato i capitani delle “ottine” che lo finirono ad archibugiate nelle celle del Convento del Carmine nel Luglio 1647, sia per mano indiretta della stessa Spagna che attraverso i sui rappresentanti e la Nobiltà napoletana riuscì a denigrare e smontare abilmente la figura di Masaniello agli occhi dello stesso Popolo da cui egli proveniva.
In conclusione quindi emerge chiaro da questa e da altre rivolte (precedenti e successive) quale sia il contesto della loro stessa nascita: il controllo del territorio è dei sui legittimi proprietari, i nobili latifondisti: l’unico rapporto diretto che il territorio ha con la madrepatria sono le tasse, decime e gabelle che si raccolgono e si corrispondono alla Spagna ad opera e responsabilità delle suddette famiglie . La libertà dei Nobili, delle loro milizie al soldo e della Chiesa è totale e non mediata e quindi crea eccessi e vessazioni dovuti quasi sempre all’ abitudine scellerata di dissipare le tasse accumulate sui territori stessi. La vittima più illustre di tali eccessi è il Popolo stesso che quel territorio lo abita e che a quel territorio è atavicamente legato per le proprie radici e per la propria sussistenza. Vedendosi quindi periodicamente diminuire o sottrarre il frutto (economico o materiale) del suo sforzo, il Popolo cerca attraverso “capi” sempre diversi il riconoscimento più o meno uffciale del suo diritto inalienabile a vivere dignitosamente dei propri sforzi e del proprio lavoro.