Nada, si sa, è l’artista dalle mille vite: enfant prodige sanremese, interprete impegnata per Piero Ciampi, popstar anni 80. Oggi è una cantautrice indipendente, dedita anche alla narrativa e al teatro,e non c’è da meravigliarsi se, tra il pubblico dei suoi concerti,i trentenni che cantano a memoria le ultime produzioni si trovino affiancoa sessantenni in attesa di un vecchio successo infilato tra i bis.
Dopo collaborazioni prestigiose col meglio dell’indie (John Parish, Massimo Zamboni, Cesare Basile), e a distanza di due anni dal raffinatoOccupo poco spazio, che vantava gli arrangiamenti orchestrali firmati Enrico Gabrielli, Nada ci spiazza di nuovo.
Che stavolta avrebbe fatto tutto da sola dovevamo intuirlo dal video del singolo La canzone dell’amore, nel quale, armata di sole cuffie e smartphone, si fa un video selfie mentre esegue il playback della canzone: il vento le scompiglia i capelli e l’ombra del telefono che regge in mano le finisce ogni tanto sul viso. Un approcciodunque di natura punk, felicemente confermato da L’amore devi seguirlo, disco che ha registrato quasi completamente da sola con un programma per produzioni musicali domestiche.
L’album si apre con una preghiera per gli emarginati della nostra presunta civiltà, un imperativo di pace fin dal titolo: Aprite le città.Tra visioni apocalittiche (Una pioggia di sale) e promesse d’amore (Finché tu vorrai), l’artista toscana sembra talvolta fare lo sgambetto all’ascoltatore.
Infatti, a metà scaletta, intona prima un pezzo retrò, che per contrasto intitola Non sputarmi in faccia, e subito dopo una ballata pop il cui testo nasconde però versi audaci: “Dentro quattro birre e un cannone/ Per calmare la disperazione/ Cerco il paradiso che sai darmi solo tu”.
L’attenzione al sociale ritorna quando, tramite la metafora di un animale che si aggira in città, si parla della paura del diverso (La bestia), e di violenza domestica e femminicidio (Ballata triste). Prima di “comprarci un bel biglietto per un vaffanculo senza ritorno” (Non capisci più), quest’artista coraggiosa e innocente, ruvida e naif, nel brano che chiude il disco (All’aria aperta) ci prende per mano e ci porta nel suo mondo segreto: con un ritornello terzinato che non se ne andrà più dalla testa, ci confida la genesi del suo processo creativo, della sua poetica felicemente borderline. Prima di accendersi un antico toscano, ci saluta con una dichiarazione d’intenti che, in un mondo di incertezze, suona come una rassicurante minaccia.