Quando sembrava che fosse sul punto di cambiare, la storia si è puntualmente e tristemente ripetuta: il Napoli, nel momento veramente decisivo, è imploso, vittima delle sue paure e dell’ormai atavica abitudine alla sconfitta.
Domenica sera agli azzurri allenati (per l’ultima volta) da Gattuso sarebbe bastato vincere nell’ultima partita di campionato contro il derelitto Verona, che nelle ultime 8 partite aveva collezionato 3 punti, per assicurarsi la qualificazione alla prossima Champions League, completando la disperata rincorsa iniziata a Marzo dopo un inverno disastroso.
E’ ormai noto a tutti l’incredibile epilogo del match del “Maradona”: neanche il fortunoso gol dell’ex Rrahmani, giunto su corner dopo un’ora di anticalcio, è stato sufficiente per portare a casa la preziosissima vittoria.

Sono bastati anzi meno di 10 minuti ai gialloblù, assurdamente accusati di non essersi scansati da chi evidentemente pretende lealtà e sportività solo da chi gioca contro la Juventus, per trovare la rete del pareggio.
Un’azione, quella del gol di Faraoni, che causa fitte al fegato solo a ricordarla: lancio di 50 metri del difensore centrale dalla lunetta della propria area di rigore, scatto del laterale scaligero che coglie alle spalle (toh! che novità) Hysaj, di cui si parlava fino a sabato di possibile riconferma in un evidente delirio di autolesionismo, e destro a baciare il palo interno, eludendo l’estremo tentativo di Meret di rimediare allo scempio.
I 25 minuti rimasti sono serviti solo a ricordare a tutti perché quella sarebbe stata l’ultima partita di “Ringhio Star” sulla panchina del Napoli: incapace di rimediare alle mosse di Juric sin dal primo minuto, incapace di mettere al sicuro il vantaggio faticosamente raggiunto rinforzando la mediana, il tecnico calabrese (alla seconda qualificazione Champions persa per un punto all’ultima giornata in carriera) si esibiva in una serie di scellerati cambi finali, mettendo in campo tutti gli attaccanti, lasciando il solo Fabian a centrocampo, e consegnando di fatto palla e partita al Verona negli ultimi 10 minuti.
L’amarezza e la delusione che hanno avvolto i tifosi azzurri sono sentimenti tanto atroci quanto purtroppo familiari: la partita di domenica rappresenta solo l’ennesima occasione persa di un gruppo che ha ormai ampiamente dimostrato di non reggere la pressione nei momenti decisivi, palesando limiti caratteriali che non possono più essere ignorati.
I sinistri segnali di cedimento si erano avuti sia con il Cagliari (partita pareggiata prendendo un gol pressoché identico, con l’aggravante di averlo subìto a 30 secondi dalla fine) che con la Fiorentina: tutti, sia tifosi che addetti ai lavori, avevano più o meno inconsciamente voluto ignorare il fatto che la vittoria fosse giunta con un gol su ribattuta dopo un rigore fallito e con un autogol, dopo un primo tempo tremebondo, volendo trovare il lato positivo nella capacità di tenere al sicuro il risultato.
Disastro, dunque, economico prima che sportivo: il Napoli, pur avendo le spalle larghe per via dell’attenta gestione De Laurentiis, dovrà necessariamente procedere ad un contenimento dei costi e risulterà meno attrattivo per giocatori ed allenatori che ambiscono alla vetrina Champions.
Non è un mistero infatti che Max Allegri, di cui è appena stato ufficializzato il ritorno alla Juventus, sarebbe stato un serio candidato alla panchina azzurra in caso di partecipazione alla massima competizione continentale.
Eppure, anche in una situazione così deprimente, vanno evidenziati almeno due elementi da salvare: in primis, la scomparsa di qualunque dubbio sul valore di Gattuso e dei conseguenti rimpianti legati al suo addio.
L’ottimo, numeri alla mano, girone di ritorno, non può far dimenticare il disastroso girone di andata, le ignominiose eliminazioni contro Granada ed Atalanta (il 3-5-2 di Bergamo con Elmas esterno a tutta fascia resterà a lungo impresso nella memoria collettiva) nelle coppe, e la pessima gestione della rosa, con giocatori dimenticati per mesi ed altri spremuti e lasciati in campo fino a causarne lunghi infortuni.
Risulta, inoltre, francamente difficile appoggiare la tesi di chi sostiene che il Napoli fosse settimo fino alla ventesima giornata per via degli infortuni, dimenticandosi che Ibrahimovic ha saltato metà delle partite di campionato del Milan, che la Juventus ha giocato praticamente tutto l’anno senza Dybala, o che l’Atalanta ha venduto capitan Papu Gomez a Gennaio senza sostituirlo.
Viene infatti da chiedersi se il valore di un tecnico non vada misurato proprio quando ci sono gli inevitabili momenti di difficoltà, da superare magari trovando soluzioni tattiche in grado di sopperire alle assenze (qualcuno si inventò Mertens centravanti, tanto per dirne una), e non, citando la prima parte di un vecchio adagio partenopeo, “quando il mare è calmo”.
Tra l’altro, in una stagione compressa e piena di infortuni per via del covid, è quasi più “anomalo” giocare le ultime 12-13 partite senza avere troppi infortuni, che non il viceversa.
Del resto, anche il più appassionato dei sostenitori di Gattuso deve infatti arrendersi all’evidenza, visto che nonostante si siano liberate le panchine di Real Madrid, Tottenham, Inter, Juventus, Roma e Lazio, ad assicurarsi il veleno di Rino sia stata la Fiorentina, club importante ma reduce da diverse stagioni deludenti, e salvatosi alla penultima giornata.
L’altro lato positivo di questo finale amaro è la possibilità, per il Napoli, di fare scelte che la qualificazione alla Champions avrebbe reso più difficili e meno popolari.
Il buon finale della prima stagione ancelottiana e la vittoria in Coppa Italia dello scorso Giugno hanno “rimandato” il definitivo svecchiamento di un gruppo che aveva dato ormai tutto (con qualche battaglia vinta ma con quasi tutte le guerre perse), inducendo l’ambiente a pensare che bastassero “pochi ritocchi” per restare competitivi ai massimi livelli.
Serve invece il coraggio di innestare elementi di personalità, accompagnando alla porta giocatori dall’ingaggio pesante ma dal contributo ormai limitato: in tal senso l’ingaggio di Spalletti (definito nella notte, manca solo l’ufficialità), tecnico capace di anteporre l’interesse di squadra e società ai personalismi dei senatori, potrebbe favorire questo processo.
Andranno poi prese decisioni altrettanto importanti sul futuro del fenomenale DS, autore di un mercato molto dispendioso e poco convincente (Osimhen e Rrahmani a parte), che pare non essere stato coinvolto da De Laurentiis nella scelta del nuovo allenatore: ipotizzare un upgrade anche per questa figura societaria è francamente auspicabile.
Infine, De Laurentiis dovrà dimostrare di aver imparato la lezione, sposando il progetto tecnico del nuovo mister e difendendolo nei momenti difficili, come accaduto con Gattuso (al netto dei fisiologici dubbi emersi dopo la sconfitta di Verona) e a differenza di quanto fatto con Ancelotti.
Insomma, assunto fino in fondo il fatale veleno, non tutto il male viene per nuocere, a patto di fare tesoro di tutti gli errori commessi in questo mediocre biennio.