“Neapolis mura, opere anni 60-70″, è il titolo della mostra personale sul pittore Vittorio Fortunati, allestita nello Spazio Martucci 56, a pochi passi dalla centralissima piazza Amedeo, a Napoli, curata da Simona Pasquali, è visitabile fino al 5 maggio 2018. E’ un legame indissolubile tra l’artista e la città di Napoli, in cui i sentimenti diventano colori e architetture. Le rovine del passato e i frammenti delle mura dell’antica “Neapolis” sono il fulcro di una proficua produzione artistica proiettata verso l’astrattismo, caratterizzata dai singoli moduli che invadono la superficie della tela in maniera libera. Napoli e “Neapolis”, il contemporaneo che incontra l’antico, il Monte Echia, le mura di piazza Bellini, gli scavi della chiesa di San Lorenzo, Spaccanapoli e tante altre zone, diventano nell’arte di Fortunati degli anni 60 e 70, non solo testimonianze storiche, ma elementi attivi della contemporaneità urbana. Molto spesso questi luoghi sono considerati dei semplici “luoghi di passaggio”, o “reperti archeologici inattivi”, la capacità dell’artista è stata non solo di soffermarsi e osservare l’archeologia “urbana”, ma di dare uno slancio, una nuova linfa, una nuova visione ai vari siti disseminati in tutta la città. E’ una operazione di recupero della memoria storica, per ribadire la necessità di ricordare non solo le origini di un popolo, ma ciò che la società attuale può fare nei confronti del suo passato. Osservando i singoli dipinti, emergono delle mura dinamiche, plastiche e sinuose, con campiture di colore chiaro, caldo e delicato. Un cromatismo che genera figure geometriche dal notevole impatto visivo, si passa dalle intense tonalità dei colori caldi al centro della composizione, ai colori freddi dei quattro angoli della tela.
Una applicazione del colore con pennellate larghe, pastose e materiche, da cui emerge la vitalità dei singoli elementi architettonici, dal tufo giallo del centro antico, al tufo grigio campano. La “porosità” del tufo estratto dal sottosuolo per costruire la città, riscopre un nuovo “valore estetico”, non più materiale grezzo, ma singoli tasselli colorati che danno vita ad una architettura contemporanea organica. Le mura dipinte diventano oggetto di ricerca, sono la porta di ingresso per un viaggio a ritroso, alla scoperta delle nostre origini.
Proseguendo con la mostra, una serie di sculture si alternano ai dipinti esposti. Sono statue in cemento patinato realizzate da Fortunati intorno agli anni Sessanta. Osservando attentamente le singole sculture, le figure filiformi rievocano le opere di Alberto Giacometti. A differenza dell’artista svizzero che rappresenta la drammatica e assurda condizione esistenziale dell’uomo moderno, nell’artista napoletano la ricerca artistica è rivolta alle origini dell’uomo, alla ricerca della sua essenza. Un sottile fil rouge lega i dipinti alle sculture, i materiali come il tufo dei quadri e il cemento delle statue diventano gli elementi “fondanti”, per ricordare che siamo l’esito di ciò che “costruiamo” nel tempo. Per Fortunati, l’arte parte dal passato e arriva al presente, è tutto sempre contemporaneo.