Napoli è una città lamentosa, vittima di se stessa e dei soliti stucchevoli stereotipi che la accompagnano, insopportabilmente depressa e piena di zavorre che la trascinano sempre verso il basso.
Nel calcio è lo stesso: l’autolesionismo tafazziano che si riesce ad infliggere è qualcosa di stupefacente.
La formazione azzurra, capolista imbattuta e ammirata in tutta Italia, deve combattere non solo contro avversari agguerriti e complicati come il Torino di ieri, ma anche contro i fantasmi dell’ammutinamento, del continuo ricordo della Coppa d’Africa, del rinnovo di contratto dell’ormai insopportabile Insigne (Insigne, non Maradona o Cavani), della panda di Spalletti rubata e allora subito a pensare a ritorsioni camorristiche. I media italiani ci sguazzano e Napoli resta a bollire in questa zuppa maleodorante, mentre i poveri tifosi, quelli veri, quelli che al gol del gigantesco Osimhen si sono abbracciati con gioia e vigore, continuano a farsi il fegato amaro con l’unico rimedio di chiudere siti, giornali (esistono ancora?) e radio per non intossicarsi ulteriormente.
Luciano Spalletti è uomo saggio e scafato, sa di calcio e di società, ha gestito l’ultimo Totti passando come il nemico del Re di Roma e l’Icardi interista protagonista di molto gossip e, attualmente, un po’ ai margini del calcio che conta. Sta provando in tutti i modi a tenere la barra dritta e gli occhi puntati sull’obiettivo. Non sarà facile. Questa squadra potrebbe davvero vincere il campionato, ma il timore di chi scrive è l’esplosione di tutto ciò che ruota attorno.
La gara contro il Toro di ieri ha mostrato come i calciatori siano ben attenti e concentrati, nonostante la narrazione fantasiosa di alcuni giornali, la vittoria azzurra è strameritata: un rigore sbagliato (terzo su cinque) da Insigne, del quale ormai molti tifosi azzurri si sentono ostaggi, un gol annullato dal var (Di Lorenzo in offside millimetrico), un palo clamoroso di Lozano e in mezzo tanta battaglia e qualche occasione buona anche per il Toro, squadra tignosa e, a nostro avviso, un po’ troppo “aggressiva”. Anche la narrazione del gol vittoria (assist di fondoschiena di Elmas per Victor) è piuttosto parziale: la verità è che tutto parte dalla percussione del vero capitano di questa squadra, Koulibaly, e dalla capacità di Mertens di giocare in stile futsal in pochi centimetri quadrati di campo, ma tant’è.
Che Spalletti continui a non guardare in faccia a nessuno, che non si senta anche lui ostaggio di qualche giocatore che, forse, non ha capito che i tempi del sarrismo (bellissimo e rigido nella scelta degli interpreti) sono finiti, che possa sostituire un subentrato (Lozano) per il bene comune, mettendo un saltatore in più (Juan Jesus), per difendere tre punti pesantissimi.
I tifosi sono con lui, all’orizzonte due sfide importantissime: giovedì sera gara da ultima spiaggia contro il Legia Varsavia (in testa al girone ma, a quanto pare, piuttosto derelitta in campionato) e poi trasferta all’Olimpico contro la Roma di Mourinho, derubata da Orsato che ha, di nuovo, aiutato la Juventus nella risalita verso l’alto, stavolta inventando di sana pianta un articolo del regolamento del calcio.