Nato nel 1965, il Premio Estense è destinato a un volume, regolarmente in commercio, di uno o più autori, che raccolga nella loro integrità, o elabori o ampli, articoli in lingua italiana, di giornalisti e opinionisti viventi, apparsi sulla stampa quotidiana o periodica o trasmessi da servizio radiofonico o televisivi o attraverso i nuovi media o comunque espressione di lavoro giornalistico riconoscibile, editi a partire dal 1° gennaio dell’anno precedente.
Il 26 settembre, Pablo Trincia e Concetto Vecchio sono i vincitori della 56/a edizione del Premio Estense. Il verdetto è arrivato alla sesta votazione, con 20 preferenze ciascuno e ha messo d’accordo la giuria tecnica presieduta da Guido Gentili e quella popolare. Sin dalla prima votazione è emerso il testa a testa, al sesto scrutinio si è arrivati all’ex aequo tra l’ex inviato de Le Iene Pablo Trincia e il giornalista di Repubblica Concetto Vecchio.
Spazio ai contenuti, dunque, dei due libri vincitori: “Più mi ci sono addentrato, e più mi ci sono ossessionato” rivela Trincia, che con ‘Veleno’ fa luce sulla torbida vicenda giudiziaria che ha distrutto intere famiglie nella Bassa Modenese. Bambini, riti satanici, famiglie straziate, fratelli che non si sarebbero mai più rivisti: “una storia che sembra quasi esser stata lei ad avermi chiamato – racconta il vincitore – quando sono andato a casa di una mamma che aveva lasciato messaggi e registrazioni nel caso che qualcuno, un giorno, ne avesse avuto bisogno. È come se avesse lanciato un sassolino nel futuro, e io ero lì a raccoglierlo”.
Concetto Vecchio ha invece fatto un lavoro quasi introspettivo con ‘Cacciateli’, la vicenda dei migranti italiani in Svizzera a fine anni Sessanta, tra cui c’erano anche i suoi genitori. “Tra tutte le persone che ho intervistato nella mia vita e per lavoro, non avevo mai intervistato i miei genitori – afferma – un’esperienza molto profonda”.
Veleno di Pablo Trincia
Alla fine degli anni Novanta, in due paesi della Bassa Modenese separati da una manciata di chilometri di campi, cascine e banchi di nebbia, sedici bambini vengono tolti alle loro famiglie e trasferiti in località protette. I genitori sono sospettati di appartenere a una setta di pedofili satanisti che compie rituali notturni nei cimiteri sotto la guida di un prete molto conosciuto nella zona. Sono gli stessi bambini che narrano a psicologi e assistenti sociali veri e propri racconti dell’orrore. La rete dei mostri che descrivono pare sterminata, e coinvolge padri, madri, fratelli, zii, conoscenti. Solo che non ci sono testimoni adulti. Nessuno ha mai visto né sentito nulla. Possibile che in quell’angolo di Emilia viga un’omertà tanto profonda da risultare inscalfibile? Quando la realtà dei fatti emergerà sotto una luce nuova, spaventosa almeno quanto la precedente, per molti sarà ormai troppo tardi. Ma qualcuno, forse, avrà una nuova occasione. Nota: niente di quello che è scritto in questo libro è stato in alcun modo romanzato dall’autore.
Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi di Concetto Vecchio
James Schwarzenbach, un editore colto e raffinato di Zurigo, rampollo di una delle famiglie industriali più ricche della Svizzera, cugino della scrittrice Anne Marie Schwarzenbach, a metà degli anni sessanta entra a sorpresa in Parlamento a Berna, unico deputato del partito di estrema destra Nationale Aktion, e come suo primo atto promuove un referendum per espellere dalla Svizzera trecentoquarantamila stranieri, perlopiù italiani. È l’inizio di una campagna di odio contro gli emigrati italiani che dura anni e che sfocerà nel referendum del 7 giugno 1970, quando Schwarzenbach, solo contro tutti (giornali, establishment, Confindustria sono schierati su posizioni opposte), perderà la sua sfida solitaria per un pelo. Com’è stato possibile? Cosa ci dice del presente questa storia dimenticata? E come si spiega il successo della propaganda xenofoba, posto che la Svizzera avrà dal 1962 al 1974 un tasso di disoccupazione inesistente e sono stati proprio i lavoratori italiani, i Gastarbeiter richiamati in massa dal boom economico, a proiettare il paese in un benessere che non ha eguali nel mondo? Eppure Schwarzenbach, a capo del primo partito antistranieri d’Europa, con toni e parole d’ordine che sembrano usciti dall’odierna retorica populista, fa presa su vasti strati della popolazione spaesata dalla modernizzazione, dalle trasformazioni economiche e sociali e dal ’68. Schwarzenbach fiuta le insicurezze identitarie e le esaspera. “Svizzeri svegliatevi! Prima gli svizzeri!” sono i suoi slogan, mentre compaiono le inserzioni “Non si affitta a cani e italiani”.