Se una buona metà del pop-rock internazionale che ascoltate è stata prodotta e registrata nei mitici studi londinesi di Abbey Road, potete star certi che la seconda metà proviene dagli Stati Uniti, pensata, suonata e registrata negli studi “rivali” d’oltreoceano, i famosi Avatar Studios di New York. Per uno che fa musica, lo studio di registrazione è una sorta di tempio sacro, un luogo da visitare, conoscere e rispettare. Mettervi piede è una grande opportunità, come se ad un’ostetrica venisse offerta la possibilità di abitare per qualche mese dentro un utero materno, al fine di carpire tutti i segreti dell’arte di tirare fuori bimbi sani e forti.
Dato che ad Abbey Road ci siamo capitati settimane fa, perchè non farci un giro nel New Jersey, a vedere un po’ che aria tira ai New York City Power Station Studios, meglio conosciuti come Avatar Studios?
Gennaio 1980, New York è coperta di neve, il freddo è pungente e grazie alla risata di una barista molto carina a cui ho chiesto un caffè caldo, ho appena scoperto che sotto il cappello di lana nascondevo dei capelli davvero impresentabili. Prima di arrivare al 441 della West 53rd Street di Manhattan devo assolutamente trovare un barbiere!
Ecco una di quelle simpatiche insegne cilindriche e rotanti a strisce blu, bianche e rosse. Entro.
Il salone è molto ampio e ben tenuto e subito noto alcune foto d’epoca appese alle pareti. È Sciacca, in Sicilia. Con un italiano sotterrato dall’accento americano, il signor John, il cui padre è arrivato in America da emigrante tanti anni fa, mi fa accomodare e mi strappa una risata quando pronuncia uno stentato “paisà”.
“Sei un altro musicista allora? Come mio figlio John Francis jr. Sta sempre a cantare e a suonare la chitarra. Ai Power Station Studios ci va a fare i caffè e a sistemare i cavi, perchè mio cugino Tony è uno dei soci. Ma là dentro ci vanno le grandi star, di mio figlio chi si accorge? Io glie lo dico sempre che dovrebbe imparare il mestiere qua con me!”
Finalmente ho i capelli a posto. È un po’ tardi per andare agli studi, meglio passarci domani mattina, magari dopo aver fatto conoscenza col figlio del barbiere. Suo padre mi ha detto che stasera suonerà con la sua band al Fast Lane, un locale di Asbury Park. Una birra ci sta tutta.
Ci saranno poco meno di un centinaio di persone. La band sale sul palchetto e attacca con “The Promised Land” di Bruce Springsteen. In pochi istanti, davanti ai miei occhi, succede l’impossibile.
Il ragazzo che entra col microfono è un biondino dall’espressione angelica che riconosco subito, malgrado la sua giovane età. Si chiama John Francis jr., questo me lo ha detto il suo vecchio. Anche se nessuno lo ha ancora presentato, io conosco già il suo cognome italiano: Bongiovi. Mando giù un generoso sorso di birra, al pensiero che il taglio dei miei capelli è opera del Padre del futuro Bon Jovi. Ma non è finita qui.
Poco distante dal mio posto c’è un signore ancora camuffato sotto sciarpa e cappello. Ha appena ordinato una birra, ma a metà del pezzo si alza in piedi e si dirige dritto verso il palco, liberandosi dei pesanti abiti. L’urlo che si leva dalla piccola folla è assordante, io stesso lancio un fischio di approvazione quando realizzo che si tratta del Boss in persona.
L’avventura di una delle più grandi rock star degli anni ’80 comincia quindi stasera, 9 gennaio 1980, con un duetto tanto improvvisato ed inatteso quanto memorabile.
A fine serata, mi fermo a guardare John Bon Jovi che sta aiutando i suoi compagni di avventura a caricare gli strumenti in macchina. Bruce gli ha fatto i complimenti per la sua voce potente e per la grinta che mette sul paco. Dice che secondo lui ce la può fare. Ci vorrà ancora una manciata di anni, ma il Boss non si sbaglia.
John ha talento, grinta e tanta voglia. Ha anche un cugino che è socio di uno degli studi di registrazione più importanti d’America, non è cosa da poco.
Va bene, il mio programma iniziale di visitare i Power Station è saltato per oggi, ma ne sono comunque contento. Del resto, ho una Macchina del Tempo con la quale posso andare dove e quando mi pare e piace. Ritorniamocene al futuro, quantomeno ho sistemato i capelli!