Spesso ci affascinano le gesta dell’eroe solitario che salva una vita o ci disarma il sapere che un gruppo di persone ha assistito senza battere ciglio ad un episodio di violenza; in realtà non si tratta di coraggio o indifferenza ma di vere e proprie dinamiche psicologiche e sociali che si attivano e questo non avviene solo nell’uomo!
Da un recente studio condotto dall’Università di Chicago è stato dimostrato che i ratti non solo possono essere empatici nei confronti dei conspecifici, ma soprattutto che possono essere “vittime dell’effetto spettatore”.
La scoperta del così detto “effetto spettatore” nell’essere umano viene attribuita agli psicologi Bibb Latané e John Darley in seguito a quanto accadde nel 1964: venne uccisa Catherine Genovese detta “Kitty” nel Queens (affollato quartiere residenziale di New York) e, secondo i giornali dell’epoca, l’efferato omicidio si svolse davanti a ben 38 spettatori immobili.
I medici testarono diversi soggetti umani in presenza di passanti (detti “confederati”) e da soli; ciò che si evinse fu che il singolo in un contesto dove il gruppo non aiuta è meno propenso all’azione, una diffusione, insomma, di responsabilità per cui tendiamo ad agire (o a non agire) come agisce la maggioranza.
Nel 2011, Peggy Mason, professore di neurobiologia e autore dello studio coadiuvato dal suo team, ha scoperto che i ratti agiscono esattamente nella stessa modalità dell’uomo.
Lo studio condotto sui topi è stato applicato intrappolando un soggetto ed osservando le reazioni: Il team di ricerca ha usato il paradigma di ratti intrappolati in combinazione con ratti che sono stati trasformati in “confederati”, somministrando loro un farmaco ansiolitico che li ha resi indifferenti al disagio di un altro ratto, assicurando che non avrebbero aiutato; si, perché i ratti aiutavano in gruppo a prescindere il soggetto in difficoltà, mostrando maggiore altruismo dell’uomo. I ratti testati con i confederati sedati avevano meno probabilità di aiutare rispetto a quelli testati da soli.
I roditori, infatti, hanno costantemente liberato i compagni intrappolati, risparmiando anche un po’ di cioccolato per loro, e questo comportamento è stato guidato dall’empatia.
Un nuovo studio, “The Bystander Effect in Rats”, ha validato ad oggi nuovamente questa tesi.
In base alla nuova ricerca pubblicata su Science Advances è emerso un nuovo sorprendete aspetto: i ratti, come l’essere umano, hanno un’accentuata empatia (forse maggiore), infatti rispetto ad altre specie hanno maggior probabilità di aiutare un soggetto in difficoltà.
La co-autorice dello studio, Maura Jacobi, laureata nel 2020 alla University of Chicago Pritzker School of Medicine ha affermato:
“La ragione per cui vediamo questi modelli di disponibilità va più in profondità rispetto alle lezioni che abbiamo imparato all’asilo sull’essere gentili l’uno con l’altro. Questo è un fenomeno che non è esclusivo degli esseri umani”.