Il 6 settembre, Remo Rapino si aggiudica la vittoria della 58/a edizione del Premio Campiello con “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”. Il folle protagonista del romanzo ha conquistato tutti, dal pubblico alla critica con 92 voti su 264 espressi dalla Giuria dei Lettori Anonimi ed era tra i dodici in corsa per la cinquina del Premio Strega 2020.
Rapino ha dato vita a un personaggio immaginario, ma i fatti sono reali. La vita di Liborio dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, quando si prepara ad uscire di scena, è fatta di perdite, della madre e del nonno che lo hanno cresciuto, della scuola che avrebbe voluto frequentare oltre le elementari, ma resta il libro Cuore da cui non si separa mai, dell’unica donna che amava. Ed è un’esistenza mai rassegnata, segnata da battaglie, dal lavoro in fabbrica al manicomio, al carcere fino alla solitudine della vecchiaia in un piccolo paese non identificato del Sud.
Lo scrittore, il giorno dopo la vittoria dedicata al padre che è nato nel 1926 e morto nel 2010 come Liborio, racconta: “Il periodo che stiamo vivendo chiede di recuperare valori come la fratellanza, la solidarietà, l’accettazione dell’altro, del diverso e Liborio Bonfiglio rappresenta tutto questo. La sua è una follia di cuore e sentimenti, allontana la paura. Come i folli shakespeariani, non è una follia criminale. La sua è una vita diversamente vissuta, una neo diversità che va ascoltata. Liborio raccontando se stesso racconta un secolo di storia da una periferia esistenziale e dà voce a quelli che non hanno voce, agli ultimi della fila, agli emarginati. E’ una figura che si illude, ma illudendosi crea anche delle speranze. E’ uno che dice ‘il re è nudo’ come nella favola di Andersen. E’ questa la sua funzione. Cerchiamo di guardare oltre le apparenze. Ogni follia è un’energia che abbiamo dentro, spesso insopprimibile, che se esplode può rovesciare i codici sociali dominanti, mettere in dubbio le nostre certezze. In Liborio non c’è rassegnazione. Quando va in carcere ci va perché si ribella a un modello di lavoro, quello a cottimo. Quando va nel manicomio non accetta la follia, ma cerca di capire gli altri. Le persone che appaiono nel manicomio le ho tratte dagli archivi del manicomio provinciale di Imola. Andrebbe letto con il fiato grosso. E’ il resoconto di tante storie che mio padre mi raccontava. Le sue stesse parole le ho messe in bocca a Liborio. I libri vanno scritti con le voci degli altri in un dialogo continuo. Inventare storie è molto meno complicato che inventare un linguaggio. Io ho avuto difficoltà a trovare un codice di scrittura, a inventare una lingua. Liborio parla un italiano dialettizzato, meticciato, pieno di parole in chiaroscuro. E’ un linguaggio fatto di sgrammaticature, volute. Però Liborio poteva scrivere la sua storia soltanto parlando in quel modo. E’ una specie di gioco, vediamo come va a finire”.
Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio
Liborio Bonfiglio è una cocciamatte, il pazzo che tutti scherniscono e che si aggira strambo e irregolare sui lastroni di basalto di un paese che non viene mai nominato. Eppure nella sua voce sgarbugliata il Novecento torna a sfilare davanti ai nostri occhi con il ritmo travolgente e festoso di una processione con banda musicale al seguito.Perché tutto in Liborio si fa racconto, parola, capriola e ricordo: la scuola, l’apprendistato in una barberia, le case chiuse, la guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia. A popolare la sua memoria, una galleria di personaggi indimenticabili: il maestro Romeo Cianfarra, donn’Assunta la maitressa, l’amore di gioventù Teresa Giordani, gli amici operai della Ducati, il dottore Alvise Mattolini, Teté e la Sordicchia… Dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, anno in cui si appresta a uscire di scena, Liborio celebrerà, in una cronaca esilarante e malinconica di fallimenti e rivincite, il carnevale di questo secolo, i suoi segni neri, ma anche tutta la sua follia e il suo coraggio.Attraverso il miracolo di una lingua imprevedibile, storta e circolare, a metà tra tradizione e funambolismo, Remo Rapino ha scritto un romanzo che diverte e commuove, e pulsa in ogni rigo di una fragile ma ostinata umanità, quella che soltanto un matto come Liborio, vissuto ai margini, tra tanti sogni andati al macero e parole perdute, poteva conservare.