Oggi per la Rubrica L’ ANGOLO DELLA PECORA ROSA incontriamo Sandro Stefanini, istrionico attore che si divide tra cinema, teatro e tv, in particolare in questo periodo e fino al 20 dicembre 2024 sarà impegnato in teatro al fianco di Fabio Canino nello spettacolo Fiesta, omaggio all’iconica Raffaella Carrà.
Ho incontrato Sandro per voi
Il tuo ruolo in Fiesta, ce lo racconti?
In Fiesta, in questa ultima edizione, in scena dal 2021, anno dei vent’anni dalla prima storica edizione, quella in cui Fabio ricevette l’onore de l’incursione della stessa Raffaella Carrà e delle telecamere di Carramba, io sono Ivano il truccatore di Chiara Ferragni. Mi spiego, il testo di Fiesta, nel corso degli anni è stato attualizzato e il mio personaggio è quello che ha “cambiato identità” più volte.
Nell’edizione del 2008-2010 Ivano era il truccatore di Anna Tatangelo, indossavo le zeppe, una cintura con scritto “Anna ama Gigi”.
In questa ultima edizione, con la regia di Piero di Blasio, Ivano, che nel frattempo, dicevo, è diventato il truccatore della Ferragni, indossa una tuta “muccata” e non ha più le zeppe, quello che è rimasto costante in tutte le edizioni di un personaggio che ha cambiato più volte forma è la sostanza, Ivano è un gay cattolico, accusato di essere un “papa boy” da Luca (Fabio Canino), sbeffeggiato da Renato (Mariano Gallo) e che vive le contraddizioni di un omosessuale credente che si scontra con i dettami di un’istituzione religiosa non proprio aperta verso i gay . I personaggi sono tutti giocati sugli stereotipi: c’è Luca, il padrone di casa, un gay tutto sommato “lowprofile” che vive circondato da immagini di Raffaella di cui è il fan numero uno, con “l’altarino” dedicato alla sua icona e su una mensola i peluche di Punto e Virgola, il cane e il gatto di “Pronto Raffaella” poi c’è Renato, un gay muscoloso, tatuato, ossessionato dalla forma fisica e con una vita sessual-sentimentale piuttosto vivace, i tre amici festeggiano ogni anno il compleanno della Carrà e durante i festeggiamenti arriveranno l’amico “etero curioso”, Giuseppe (Simone Veltroni) che inviterà, suo malgrado, l’amico etero, bello e poliziotto, Massimo (Samuele Picchi) che sarà l’innesco del putiferio.
Come ti sei formato come attore?
Ho cominciato facendo il cantante in realtà, facendo concorsi, ma siccome ero molto molto timido, tanto da cantare ad occhi chiusi, tesissimo e coi pugni stretti ad un certo punto mi sono iscritto ad un corso di teatro e ci ho preso gusto. Ho frequentato la scuola “Laboratorio Nove” di Firenze, diretta da Barbara Nativi e tutti gli stages e seminari possibili. Non ho frequentato le scuole convenzionali.
Qual è la tua dimensione ideale, il palcoscenico o la macchina da presa?
Senza dubbio il teatro, è più divertente, hai un ritorno immediato, senti il pubblico, “giochi” con i colleghi ogni sera in modo diverso, provando emozioni diverse, lo spettacolo cresce di sera in sera, il rapporto coi colleghi ha l’agio di evolvere, si può aggiustare il tiro; il lavoro davanti alla macchina da presa è diverso, ad un certo punto il lavoro viene cristallizzato e fermato sulla pellicola, quel che è fatto è fatto, anche se rivedendoti non sei soddisfatto del lavoro che hai fatto non puoi migliorarlo, e poi non c’è il pubblico, non assiste all’emozione che trasmetti, le risate, non ci sono le lacrime, gli applausi.
La Carrà è un’ icona gay assoluta, quali sono le tue?
La Carrà è anche fra le mie icone, c’è poi Ornella Vanoni, Patty Pravo, c’è Mina e c’è stato un cantante di cui cantavo le canzoni anche quando facevo i concorsi di canto, a volte indossando mantelli e truccandomi gli occhi con i glitter, forse è anche un po’ colpa sua se faccio questo mestiere, ma preferirei non parlarne, diciamo che è stato un amore giovanile, finito male.
Hai lavorato con Luciano Melchionna in D.A.D.P, mi dici un pregio e un “difetto” di uno spettacolo così articolato e immersivo per attori e pubblico?
Mi tiri in ballo un pezzo di cuore, Dignità Autonome, è senza dubbio l’esperienza più importante, intensa, formativa della mia “carriera” fin qui, ne faccio parte dal 2007, che è stato anche l’anno in cui ho perso mio padre, era la prima edizione e sono debitore nei confronti di Luciano e di tutti i colleghi con cui ho lavorato in questi 17 anni, all’epoca per avermi salvato dagli effetti del lutto e nel corso degli anni per il confronto che ho avuto la possibilità di avere -per molte ore di lavoro- con artisti straordinari. Un pregio, la vicinanza col pubblico, il poter vedere da vicino le emozioni che il nostro lavoro è in grado di trasmettere, un difetto la fatica fisica ed emotiva, forse, ma ampiamente ripagata dai “grazie” del pubblico a cui stringiamo la mano a fine spettacolo (letteralmente, stringiamo ogni sera almeno 900 mani).
Che tipo di pubblico assiste ad uno show “so queer” come FIESTA?
Un pubblico trasversale, abbiamo avuto recite con prevalenza di pubblico LGBTQA+, in occasione dei Pride di Roma e di Aosta per esempio, ma generalmente abbiamo un pubblico misto e gli abbonati, certo, cambiano le reazioni ad alcune battute, dal palco capiamo com’è composto il pubblico a seconda di quando ridono o applaudono ma escono sempre tutti molto divertiti e contenti.
Progetti futuri?
Intanto terminare l’anno con le repliche di Fiesta il 18 Dicembre a Forlì, il 20 Dicembre a Cattolica poi vincere l’UBU, il Nastro d’argento, il David di Donatello e l’Oscar…ovviamente.