Uno sguardo verso l’ “invisibile”, verso ciò che la società odierna non vuole osservare, un viaggio alle origini del mondo per preservare il suo futuro, un inno alla vita, alla natura e al tempo stesso un invito a salvaguardare il nostro pianeta, tutte riflessioni dalla straordinaria intensità che trovano un riscontro concreto nella mostra “Genesi” dedicata all’ artista/fotografo Sebastiao Salgado al PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) in via dei Mille 60 fino al 28 gennaio 2018. Idee maturate sul “campo”, testimone di guerre, della povertà e della sofferenza di popoli abbandonati al loro destino, della desertificazione, della deforestazione e delle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla natura e sugli animali. “Genesi” è un progetto iniziato nel 2003 e durato dieci anni, 245 immagini eccezionali che compongono un itinerario fotografico in bianco e nero di rara bellezza, suddivisa in cinque sezioni: il Pianeta Sud, i Santuari della Natura, l’ Africa, il grande Nord, l’ Amazzonia e il Pantanal. Un percorso espositivo che segue un ordine geografico in cui Salgado da “vecchio saggio” ci prende “per mano” e ci consente attraverso i suoi occhi di “raggiungere” terre lontane, luoghi incontaminati, di conoscere popoli primitivi e animali rari attraverso uno stile raffinato e un linguaggio fotografico semplice ed efficace, creando un “ponte” tra le immagini e il fruitore, avvalendosi di competenze tecniche e di uno schema compositivo che lo inseriscono tra i grandi della fotografia.
“Un fotografo è letteralmente qualcuno che disegna con la luce, un uomo che descrive e ridisegna il mondo con luci e ombre… non immaginavo che stavo per scoprire molto più di un semplice fotografo, una cosa l’avevo già capita di questo Salgado, gli importava davvero della gente, dopotutto la gente è il sale della terra”. Wim Wenders
Prima di “viaggiare” da una parte all’ altra del mondo attraverso le fantastiche immagini in mostra è importante capire e comprendere il pensiero “salgadiano”, un sunto eloquente di straordinaria descrizione è il monumentale documentario co- diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, “Il sale della terra”, in cui la potenza lirica della fotografia dell ‘artista brasiliano è diretta magistralmente dal regista tedesco, una regia incentrata sul tema del movimento (motion is a emotion) e da una narrazione di impronta “malickiana”, intima e spaziale. Osservare, emozionare e riflettere, con queste basi bisogna percorrere le sale dei due piani (primo e secondo) che ospitano la mostra, immagini di zone a noi molto vicine, i campi dei rifugiati in Bosnia, famiglie che hanno abbandonato la loro terra per sfuggire alle milizie serbe, donne, vecchi e bambini alla ricerca di un posto sicuro, una guerra che avviene in un paese occidentale, un popolo europeo di caratura “intellettuale”, con infrastrutture europee, utilizza il proprio ingegno per azioni di violenza estrema. E dalle zone limitrofe ci si allontana per “raggiungere” mentalmente e visivamente i paesi del Sud America, dai paesaggi straordinari, abitato da popolazioni autoctone, gli Yanomami e i Cayapò nella Amazzonia brasiliana, tribù che non hanno contatti con l’ esterno, vivono allo stato brado e di cui Salgado diventa “ambasciatore” indiretto per la loro sopravvivenza.
Un viaggio itinerante che varcherà i confini dell’ America e lo porterà in Africa a contatto con i Pigmei nelle foreste del Congo, con gli Himba nel deserto della Namibia e della Nuova Guinea e con i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica, tutte esperienze della durata di mesi che consentono al fotografo di capire il rapporto fra queste comunità e il loro habitat. Innumerevoli spunti di riflessione suscitano le fotografie in mostra, interessanti sono le istantanee che immortalano le tartarughe giganti, iguane e leoni marini che vivono nelle isole Galapagos, in Ecuador, oppure le zebre e gli elefanti che migrano in Kenya e in Tanzania, l’ interesse è di studiare il tipo di interazione che gli animali hanno con il proprio habitat e sull’ incidenza indiretta dell’ uomo nei loro comportamenti, colpevoli di alterare l’ ecosistema e il paesaggio in cui vivono.
Alcuni scatti sono molto interessanti e significativi, tra cui la zampa di una iguana, simile alla armatura di un soldato medievale che indossava una rete metallica per proteggersi e affascinante è la foto che ritrae dei pinguini in coda che si tuffano nelle acque delle isole South Sandwich, in Antartide, una perfetta simbiosi tra il mondo naturale e quello degli uomini, volatili disposti in fila indiana attendono di lanciarsi da un ghiacciaio e immergersi nelle acque agitate alla ricerca di cibo. In questo giro per il mondo mancano immagini di strutture architettoniche o di città industrializzate, manca uno “scenario artificiale”, l’ attenzione non è rivolta al progresso, ma alle conseguenze che tale fenomeno comporta in alcuni punti del pianeta, dai ghiacciai ai deserti, dalle foreste agli ambienti marini, come dice Salgado: “Il pianeta è a rischio, vi mostro la metà che è salva”. Dal punto di vista tecnico e stilistico già nel primo libro “Le altre Americhe” si nota un certo virtuosismo nella gestione dei colori bianchi e neri caratterizzati da una gamma dinamica molto ampia, ciò consente una ottimizzazione nella gestione delle sfumature del grigio, del bianco e del nero, con l’ avvento del digitale le cose sono cambiate, la tecnologia ha reso questo modus operandi in camera oscura ancora più soddisfacente.
Inoltre, nonostante le condizioni avverse, o di situazioni particolari, Salgado ha sempre rispettato le regole compositive della fotografia, proprio in “Genesi” alcuni scatti sono stati realizzati da alcuni punti strategici, fotografie eseguite da posizioni ideali per ottenere la migliore resa fotografica. Spesso il fotografo brasiliano è stato accostato ad un’ altra icona della fotografia mondiale, ad Ansel Adams per le sue “fotografie di paesaggio”, una comparazione che se trova similitudini da un punto di vista estetico, si differenzia dal punto di vista contenutistico, Salgado è un artista che da “fotografo scientifico” diventa antropologo, da naturalista diventa etologo senza perdere mai l’ obiettivo della sua missione, una “radiografia” del nostro mondo che passa attraverso l’ osservazione e la riflessione. “Genesi” è un atlante del nostro pianeta, è un grido d’ allarme e un monito affinchè si cerchi di preservare i popoli, la natura e gli animali della Terra.