In fuga da un passato di brutti ricordi, Baker Dill si è rifugiato su un’isola al largo della Florida. Solitario e collerico, quando va per mare insegue invano un tonno gigantesco; mentre a terra, avvolto tra i fumi dell’alcol, frequenta Constance, una donna matura.
Un giorno l’ex moglie Karen si presenta sull’isola, per chiedergli di salvare lei e il loro figlio dal nuovo e feroce marito. La donna gli suggerisce di gettare l’uomo in acqua durante una gita in barca, in cambio di una vagonata di dollari: ben 10 milioni.
Nel limbo della nuova fase della sua esistenza e quella da cui è scappato, viene non poco tentato dall’offerta, pur afflitto dai dubbi; e Baker si ritrova immerso in una realtà che gli sfugge di mano, fantoccio nelle mani di un misterioso stratega…
Cosa è Serenity – L’Isola dell’Inganno? Un noir dei giorni nostri che trova ispirazione nel cinema hollywoodiano della prima metà del secolo, attingendo ai climi soffusi e misteriosi del primo cinema anni ’80, farcito con personaggi e situazioni che avrebbero potuto nutrirsi, in ultimo, di un cambio di rotta narrativa che rimescola le carte. Ma il risultato non pare essere questo, perché la parola Flop pare riecheggiare in numerose sezioni della pellicola.
Il regista-sceneggiatore, Steven Knight, sembra più improntato a un cinema perennemente sperimentale (ricordiamo il suo script per ”Allied – Un’ombra nascosta” di Zemeckis, spy story di stampo hitchcockiano, ambientato durante la Seconda guerra mondiale; ‘Locke‘, dove Tom Hardy conversa per un’ora e mezza nell’abitacolo di una macchina); i due interpreti, Matthew McConaughey e Anne Hathaway, pur vincitori di Oscar hanno una carriera sovente connotate da brucianti battute d’arresto.
E l’ambientazione su un’isola tropicale, che rimanda direttamente a un’estetica patinata da softcore anni ’80, alla ”Orchidea selvaggia”, non giova a fornirgli maggiore credibilità applicativa.
Si ha notizia, e basta guardare sui media, di autori ed interpreti infuriati con la casa di distribuzione Aviron, a loro dire rea di non aver adeguatamente promosso l’uscita del film, con la critica anglosassone univoca nel soffocarne l’appeal, in uno ai tanti commenti sarcastici presenti in rete.
“Se l’è cercata” sembra il commento più spesso rivolto al regista. Knight, anche sul versante della sceneggiatura, pone quasi in imbarazzo protagonisti qualificati e dalla ottima carriera.
McConaughey da pescatore dannato è credibile quanto una banconota da tre dollari, e vistosamente seccato.
Anne Hathaway sembra una femme fatale cui quel biondo posticcio pare tradirne una provenienza da film come DeadPool.
Jeremy Clark, come villain, fa ridere, al pari del tentativo di trasformare Diane Lane in una regina maledetta del sesso. Accettabile, invece, Djimon Hounsou, quale spalla dell’eroe maledetto.
Anche il ritmo pare inutilmente frenetico, ossessivo, connotato da uno spargimento di dettagli che pare suggerire il bivio da percorrere, in una logica da film action per adolescenti che proprio non si attaglia al prestigio degli interpreti.
Nel complesso, “Serenity” è un film scontato, roboante fino all’eccesso per poi dissolversi in bolle di sapone.
E che ha il grave difetto di prendersi sfacciatamente troppo sul serio; quando proprio, per come è stata articolata la sceneggiatura, era il caso di evitare le non poche risate di scherno, che, inevitabilmente, vengono a prodursi; quale improprio tentativo di riproporre stereotipi del passato che andavano bene decenni fa. Ma non ora, anche alla luce del fallimento del tentativo di far collimare tessiture visive alla “Il vecchio e il mare” di Hemingway con i mille rivoli che adducono alla potenzialità dell’era digitale.
Il risultato? Un puzzle fasullo e incongruente, dove le tessere non si incastrano con efficacia, così vessate da una reunion poco riuscita di inganni, svelamenti, e continui auto-spoiler.