Il 29 ottobre 1268 veniva decapitato, a Piazza Mercato, considerata allora il Largo delle esecuzioni, Corradino di Svevia, l’ultimo erede maschio degli Hohenstaufen. Con la sua morte finiva la dinastia di Federico II e il sogno del Grande Impero. Una storia commovente preservata nella memoria napoletana, che affiora tuttora nella chiesa del Carmine con la piccola statua di marmo che raffigura Corradino nelle vesti di combattente. Collocata verso la metà del lato sinistro della navata, di fronte al pulpito, la scultura fu realizzata da Massimiliano di Baviera e inaugurata il 14 maggio 1847. Il giovane martire, partito a soli sedici anni alla reconquista del regno strappato alla famiglia con l’inganno e il tradimento, veniva fatto uccidere sotto l’ordine di re Carlo II D’Angiò, poco dopo aver avuto il tempo di maledire il sovrano. Carlo II non si libererà mai di questo fardello, essendosi procurato l’odio del popolo che ricordava con profonda amarezza quell’inutile esecuzione. E’ singolare come lo stesso racconto sia stato riportato da un’antica cronaca bavarese dopo aver narrato che nello stesso giorno, nel castello di Landhut, la principessa Elisabeth, vedova dell’imperatore Corrado IV, aveva visto comparire una figura spettrale, bianca e splendente, che stringeva in una mano una clessidra vuota. La donna aveva capito che non avrebbe più rivisto suo figlio. Nulla più poteva essere preannunciato. La Dama Bianca imperiale aveva il solo compito di rivelare a una madre la triste morte del figlio. E neppure poteva predire quello che sarebbe accaduto sette secoli dopo, negli anni del nazismo tedesco. Si racconta, infatti, che Hitler, soggiogato dal rapporto che la filosofia nazista aveva con il mondo dell’occulto e circondato da uomini fidati dediti all’occultismo e alle pratiche esoteriche, si fosse persuaso a ricercare negli antichi reperti l’occulto potere necessario alla conquista del mondo. Alcuni di quegli archeologi si spinsero fino a Napoli, nella chiesa del Carmine, con l’intento di trafugare le spoglie di Corradino per riportarlo in patria, nel tentativo di ricostituire l’antico Pantheon degli imperatori, essendo Napoli considerata il cuore pulsante dell’antico Sacro Romano Impero di Germania. A salvare la memoria napoletana e il destino già crudele del giovane principe fu l’arguzia di un gruppo di carmelitani. Quando le SS entrarono nell’opulenta chiesa trecentesca, restando soggiogati dall’immenso decoro barocco, ripassarono più volte vicino alla lapide e all’iscrizione che indicava il luogo della sepoltura, senza tuttavia vederla. I tedeschi non avevano fatto caso ai frati che, capito il loro intento, avevano nascosto la lapide con dei pesanti tappeti.