Il poeta e scrittore napoletano, Salvatore di Giacomo, scrisse nel 1885 dei versi. Era giovane Salvatore e non sapeva che quei versi, scritti per svago, avrebbero segnato la sua esistenza e non in senso positivo. I versi parlavano di una finestra immaginaria, da cui si potevano ammirare le rocce di Marechiaro. Sulla finestra era posto un vaso di garofani e dietro la finestra, addormentata, c’era la bella Carolina. L’autore di opere di maggiore rilievo non dette nessun peso a questo componimento, scritto per gioco, e non pensò di inserirle in nessuna sua raccolta letteraria. Nella Napoli dell’Ottocento c’era un grande fervore di artisti e musicisti e capitava che i versi scritti da qualcuno fossero conosciuti e ispirassero gli artisti, senza che chi li avesse creati ne fosse a conoscenza. Il musicista Francesco Tosti, ispirato dalle parole di Giacomo, trovò la giusta melodia e creò la canzone “Marechiaro”. La canzone ebbe un successo e una popolarità tale che ancora oggi è considerata un caposaldo della tradizione partenopea. Questo immenso successo non piacque a Di Giacomo, uomo schivo e dal carattere particolare, non aveva piacere che la sua opera fosse apprezzata per un prodotto cosi commerciale. Si recò nei luoghi che aveva descritto usando l’immaginazione e si rammaricò tantissimo di trovare un oste che, per attirare la clientela, aveva organizzato la famosa finestra con i garofani e aveva assunto una cameriera di nome Carolina. Passavano gli anni e la canzone per lui divenne un vero e proprio tormento, ogni volta che qualche musicista lo incontrava, intonava le note di Marechiaro. Una sera al bar Gambrinus una Signora gli si avvicinò per complimentarsi del brano, egli si alzò e senza neanche salutare usci dalla sala. Ma il paradosso arrivò alla sua morte, il caso volle che anche il giorno del suo funerale il poeta fosse omaggiato con l’esecuzione della tanto “odiata” canzone. Di Giacomo fu onorato dai suo concittadini, maldestramente, gli intitolarono la strada che porta a Marechiaro, fortunatamente nel 1954, si rimediò all’errore e venne a lui dedicata una Piazza nel quartiere Posillipo.