Sulla fine di Via Foria si trova una chiesa consacrata a S. Antonio Abbate, la chiesa era stata eretta di fianco a l’ospedale per lebbrosi dalla Regina Giovanna II di Napoli, nota come Giovanna II d’Angiò. Nello spazio dinanzi alla chiesa, il 17 Gennaio, giorno in cui si festeggia il Santo, si accalcavano numerose persone con al seguito i loro animali. Gli animali erano sia quelli feroci appartenenti ai circhi e i cavalli utilizzati in città. Le bestie erano portate, come si dice in napoletano, tutti “impupazzati” cioè agghindati con fiocchi e nastri colorati, erano così ornati per ricevere la benedizione da parte dei monaci della chiesa. Ma con un animale in particolare S. Antonio ha un legame speciale: il maiale.
Quando era ancora giovane ebbe una fulminea conversione, vendette i suoi beni e si ritirò a vivere da eremita. Durante questo periodo il diavolo lo tentò più volte facendogli apparire delle graziose fanciulle che improvvisamente si trasformavano in maiali simbolo dell’amore carnale. Sempre nel 1300 il Santo ebbe nuovamente a che fare con i maiali e intercesse per loro salvandoli da uno stermino. Per questo rapporto con i suini il popolo napoletano lo elesse il patrono di tutto il genere animale. Ma all’epoca gli animali non erano rispettati come oggi, non erano considerati amici dell’uomo ma mezzi di lavoro e di sussistenza e così S. Antonio è unito ai “poveri” maiali anche per un ulteriore motivo. I monaci allevavano i maialini e quando erano diventati adulti con la loro carne oltre a preparare salsicce, prosciutti ecc. ne prelevavano il grasso e ne vendevano in grande quantità. Tale grasso aveva mostrato virtù terapeutiche contro la fastidiosissima infiammazione cutanea chiamata appunto “fuoco di s. Antonio”.