Quando su SenzaLinea si affronta la rubrica Figli di Napoli, inevitabilmente, ci si trova a trattare personalità di enorme spessore. Del resto si sa che la città, nel corso del tempo, è stata sempre una fucina di grandi talenti e celebri artisti, i quali hanno saputo spaziare negli ambiti più disparati. Tuttavia, la vastità e la portata della figura che oggi stiamo per prendere in analisi va davvero oltre ogni misura, dato che, non a caso, stiamo per parlare del mitico Antonio de Curtis, noto al mondo come Totò. Era, infatti, il 15 febbraio del 1898 quando, a Napoli, nasceva niente meno che il “principe della risata”.
Bisogna ammettere che trovarsi a scrivere di un mito assoluto, quale appunto Totò, è alquanto difficile, in quanto ci si sente infinitesimamente piccoli e perché è senza dubbio complicato riuscire a rendere e a condensare in poche righe il valore espresso da tale genialità. Egli, invero, non è semplicemente stato un artista a tutto tondo e in ogni sfumatura che questo termine stupendo può assumere, ma è stato lui stesso un’opera d’arte. Il genio partenopeo è stato l’essenza millenaria di Napoli tramutatasi in uomo; il Cinema, il Teatro e finanche la Poesia tutte in uno.
Sentendoci dunque, come si diceva, minuscoli, abbiamo allora deciso – per cercare di restituire al meglio ciò che egli ha rappresentato – di riportare il pensiero e le dichiarazioni rilasciate su Totò di tre grandi della storia del Novecento italiano, di tre registi, veri e propri “mostri sacri” del Cinema nazionale e mondiale. Parliamo di Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini e Mario Monicelli.
Ebbene, Fellini, quattro volte premio Oscar e maestro assoluto della cinematografia, rimase particolarmente colpito dall’attore, seppure questi non figuri in nessuno dei suoi film, e tra le altre cose, disse quanto segue:
“Il sentimento di meraviglia che Totò comunicava era quello che da bambini si prova davanti a un evento fatato, alle incarnazioni eccezionali, agli animali fantastici: la giraffa, il pellicano, il bradipo; e c’era anche la gioia e la gratitudine di vedere l’incredibile, il prodigio, la favola, materializzati, reali, viventi davanti a te. Quella faccia improbabile, una testa di creta caduta in terra dal trespolo e rimessa insieme frettolosamente prima che lo scultore rientri e se ne accorga; quel corpo disossato, di caucciù, da robot, da marziano, da incubo gioioso, da creatura di un’altra dimensione, quella voce fonda, lontana, disperata: tutto ciò rappresentava qualcosa di così inatteso, inaudito, imprevedibile, diverso, da contagiare repentinamente, oltre che un ammutolito stupore, una smemorante ribellione, un sentimento di libertà totale contro gli schemi, le regole, i tabù, contro tutto ciò che è legittimo, codificato dalla logica, lecito.”
Passando, invece, all’immenso Pier Paolo Pasolini – che scelse Totò come interprete principale in “Uccellacci e uccellini” – la parte più interessante di una lunga intervista rilasciata sul napoletano è probabilmente quella che stiamo per riportare, in quanto tenta di descrivere la complessità del personaggio:
“La sua cultura è la cultura napoletana sottoproletaria, è di lì che viene fuori direttamente. Totò è inconcepibile al di fuori di Napoli e del sottoproletariato napoletano. Come tale Totò legava perfettamente con il mondo che io ho descritto, in chiave diversa perché il mondo da me descritto era in chiave comica e tragica, mentre Totò ha portato un elemento clownesco, da Pulcinella, però sempre tipico di un certo sottoproletariato che è quello di Napoli. Un comico esiste in quanto fa una specie di clichè di se stesso, egli non può uscire da una certa selezione di sé che egli opera. Nel momento in cui ne uscisse non sarebbe più quella figura, quella silhouette che il pubblico è abituato ad amare e conoscere e con cui ha un rapporto fatto di allusioni e di riferimenti. Anche Totò ha fatto il clichè di Totò, che è un momento inderogabile per un comico per esistere. Entro i limiti di questo clichè, i poli entro cui un attore si muove sono molto ravvicinati. I poli di Totò sono, da una parte, questo suo fare da Pulcinella, da ” marionetta disarticolata “; dall’altra c’è un uomo buono, un napoletano buono – starei per dire neorealistico – realistico, vero. Ma questi due poli sono estremamente avvicinati, talmente avvicinati da fondersi continuamente. È impensabile un Totò buono, dolce, napoletano, bonario, un po’ crepuscolare, al di fuori del suo essere marionetta. È impensabile un Totò marionetta al di fuori del suo essere un buon sottoproletario napoletano.”
Ed infine, per concludere questa nostra proposta, ricordiamo anche alcune parole del grandissimo Mario Monicelli, il quale, da regista, ha potuto godere della partecipazione del principe in diversi film di successo, che si sono consegnati alla memoria futura. Pensiamo a titoli come “I soliti ignoti”, “Totò e le donne”, “Totò e i re di Roma”, “Guardie e ladri”, “Risate di gioia”, “Totò cerca casa” e “Totò e Carolina”.
Ecco le parole del cineasta romano, che raccolgono un velo di amarezza ma che sono le più belle per terminare la nostra disamina:
“Con Totò forse abbiamo sbagliato tutto! Lui era un genio, non solo un grandissimo attore. E noi lo abbiamo ridotto, contenuto, obbligato a trasformarsi in un uomo comune tarpandogli le ali.”