Il nuovo film di Paolo Genovese si può quasi considerare un sequel tematico del suo precedente successo, Perfetti Sconosciuti: entrambi i film indagano il lato nascosto dell’essere umano, muovendosi in un racconto dai toni realisti e contemporaneamente surreali. Ma mentre il primo tratta di segreti veri e propri, usando come medium il telefono, The Place esplora i nostri segreti più intimi, quelli che nascondiamo a noi stessi, giocando con la morale e con la nostra definizione di bene e male. I suoi personaggi vengono messi alla prova: saranno capaci di compiere del male per soddisfare il loro desideri?
Il film è un reboot di una serie televisiva americana, The Booth at the End. Il protagonista è un individuo (Valerio Mastandrea) che siede tutto il giorno in un bar chiamato The Place: “Il posto”, un luogo senza nessuna coordinata geografica, quasi fuori dalla realtà, se non fosse per la gente che lo affolla. Egli ha il potere di realizzare qualsiasi richiesta che viene portata al suo cospetto, ma per ottenerla il richiedente deve pagare un prezzo. Tutto è scritto e verrà scritto sulla sua agenda. Molte persone si recano da lui in cerca di qualcosa, trovandosi però a doversi confrontare con la loro etica e la parte di loro più infima per veder realizzata la loro richiesta.
“C’è qualcosa di terribile in ognuno di noi e chi non è costretto a scoprirlo è molto fortunato”
Il film si basa su una scala di grigi nella dicotomia bene/male: nemmeno colui che viene visto come l’incarnazione del male riesce a risultare tale agli occhi dello spettatore: è egli in grado di controllare il potere che possiede o ne è mero esecutore? E se non fosse controllato da lui, allora chi è da biasimare per il male del mondo? Le accuse di malvagità rimbalzano tra le parti. Persino le azioni che devono compiere i personaggi sono spesso ambigue; a volte sembrano innocenti ma nascondono molto dolore, altre volte dal male portano al bene, mentre altre dal male nasce solo un male più grande.
I dialoghi sono resi bene e aiutano gli attori nel dare una dimensione di verosimiglianza ai personaggi, complici le ottime interpretazioni degli attori. Grazie a questi e al protagonista, che indaga con fare psicoanalitico ogni reazione emotiva dei personaggi, si hanno chiare le varie sfaccettature dei personaggi e le loro motivazioni. Il più misterioso rimarrà per tutto il film il protagonista. Questo mistero è proprio ciò che dà solidità al film, oltre a una certa dose di fascino al personaggio.
Il film quindi si apre a molte interpretazioni, dalla filosofia etica e morale, alla religione (la predestinazione e quanto l’uomo riesce a influenzare il suo destino), fino alla psicologia sociale (il ruolo e la personalità), mostrandosi denso di contenuti. Non è certamente una visione leggera, ma non è un film che delude.