Che sia una mostra o un film, il fruitore non dovrebbe focalizzare l’attenzione soltanto verso il visibile, ma anche verso l’invisibile. Dietro i pannelli della comunicazione o nei titoli di coda di un film, c’è la professionalità, l’abnegazione e la passione di centinaia di persone che si impegnano duramente per portare a termine un obiettivo comune. Partendo da questi presupposti, una interessante mostra è intitolata “The Yellow Truck”, di Robert Herman, fino al 30 marzo 2018, curata da Chiara Reale, allestita negli spazi di Casa Morra-Archivi Mario Franco, a cui si lega la rassegna cinematografica curata da Mario Franco, dal titolo “Il cinema allo specchio”. Pregevole la programmazione con film di autorevoli registi, da Wim Wenders a François Truffaut, da Federico Fellini a Jean Luc Godard, da Tim Burton a Martin Scorsese. “The Yellow Truck”, (camion giallo), non è solo un contenitore di attrezzature cinematografiche, macchine da presa, luci e carrelli, è un microcosmo che contiene le energie, il lavoro e i sogni degli operatori del settore. Venti fotografie di Robert Herman, uno dei più importanti street photographer newyorkesi contemporanei, che raccontano la produzione di un B Movie, “Il vigilante”, un film “poliziottesco” ambientato nella New York degli anni Ottanta del secolo scorso. Sono scatti dedicati alle figure professionali che lavorano “dietro le quinte” della macchina cinematografica, dal backstage, alle foto di scena, dai momenti di pausa, caratterizzati da lunghe ore di attesa, in un clima atmosferico e umano gelido, a quelli di tensione. Riprese interrotte per un mese, per mancanza di fondi, con episodi di intolleranza verso i componenti neri della troupe.
Herman è il testimone della precarietà e delle ingiustizie che ruotano intorno all’industria del cinema, è l’interprete visivo ed emotivo dei sentimenti delle maestranze, di una situazione paradossale, di sconforto, di una atmosfera grigia, in cui le uniche immagini dai colori intensi sono le istantanee delle persone ritratte. L’artista, ispirandosi al celebre fotografo Richard Avedon che utilizzava uno sfondo bianco per i suoi soggetti, sceglie per il suo lavoro, delle tinte cromatiche vivaci, utilizzando il camion giallo dell’equipe come scenografia. Le foto dei ritratti che si susseguono una dopo l’altra, sembrano essere parte integrante di un frame cinematografico. Ciò che colpisce, è la dignità e la consapevolezza della propria forza, nonostante le avversità.
In effetti, queste immagini sono la trasposizione fotografica del cinema della nouvelle vague di François Truffaut e Jean Luc Godard, una fotografia lontana da una semplice riproduzione della realtà, fatta di immagini tradizionali, sono il silenzio e le emozioni a comunicare. L’artista procede seguendo una propria personalizzazione della fotografia, accantona le foto documentarie, i singoli fotogrammi sono l’evidenza visiva dell’animo umano. Herman non si accontenta di immortalare la vita davanti alla macchina fotografica come un semplice componente della troupe, ne cattura la vera essenza. A conclusione delle riprese del film, il contratto non è mai stato onorato e la troupe non è mai stata pagata. La mostra si sviluppa in una singola sala, indicativa è la comparazione tra le immagini destinate al cinema e gli scatti “intimi” dell’artista. L’allestimento curato sapientemente da Chiara Reale, insieme a Robert Herman, consente al fruitore, di immergersi in due realtà diverse, quella per il cinema, apparentemente scintillante e artificiale, e quella del metacinema, del “dietro le quinte”, sconfortante e reale.