Toy Story è una di quelle serie che caratterizzano la gioventù quanto l’età più matura di una persona. Celebri sono le colonne sonore, così come come celeberrimi sono gli interessi delle stesse. E quindi non poteva mancare la recensione dell’ennesima fatica della Pixar Movies, la quarta avente a protagonisti Woody e Buzz dal ‘95. La saga è forse al suo ultimo capitolo, e in questo lavoro, premetto che non pare raggiungere i picchi dei precedenti: tuttavia, in un tentativo di sviare verso nuovi spunti, fa virare vita dei giocattoli verso nuove possibilità, accenna al tema delle crisi d’identità ed ostenta altresì pure un’oncia abbondante di femminismo, peraltro forse un filo forzata nel suo costrutto ideologico.
Bonnie, dopo Andy, è la nuova padrona di Woody, Buzz e gli altri; certo, la bambina non li ricolma di attenzione come faceva Andy, ma Woody, pur lasciato spesso nell’armadio, resta comunque ricco di premure verso di lei, al punto che, quando la stessa Bonnie s’inoltra verso il suo primo giorno d’asilo, si infila di soppiatto nella sua cartella per starle vicino.
Suo malgrado, ha il bislacco risultato di esser decisivo nella genesi di Forky, un giocattolo costruito dalla bambina con una forchetta/cucchiaio, assai privo di stima. Il tapino ritiene d’esser immondizia e, con spirito quasi suicida, vuole solo buttarsi via.
Woody si sforza di fargli comprendere che l’amore di una bimba è cosa da non trascurare, ma non pare essere troppo convincente: alla prima occasione utile, Forky salta giù da un camper in corsa. Il cowboy si fionda quindi in un’avventura per ritrovarlo. E, ovviamente, questa diverrà anche l’occasione per imbattersi in nuovi giocattoli. Quello che davvero non si aspetta è, tuttavia, ritrovare anche la sua vecchia fiamma, Bo Peep.
Tornando al tema del femminismo, ricordiamo che nei primi tre ‘Toy Story’ i personaggi femminili sono connotati da scarso peso, sovente condensato nell’analisi di una sola figura, nel primo capitolo Bo Peep e nel secondo e terzo Jessie. Volendo essere meticolosi, nel parterre dei giocattoli afferenti al gentil sesso, dovrebbe essere annoverata anche Mrs. Potato.
Nel quarto capitolo, grazie anche al lavoro della sceneggiatrice Stephany Folsom, le eroine aumentano di numero. Bo Peep ora incarna i panni di una vera e propria donna d’azione, la gonna convertita in più comodi pantaloni e un Know-How action alla Lara Croft: il bastone da pastore come arma e gancio per scivolare sulle corde. Anche un altro personaggio femminile ha un ruolo chiave: Gabby Gabby. Una bambola reietta che, a causa d’un difetto di fabbricazione ab origine che compromette il suo riproduttore vocale, non ha mai incontrato una bambina che se ne prendesse cura. Sulle prime, sembra rivestire i panni della cattivona – addirittura tenta di usurpare a Woody il suo riproduttore vocale -, salvo poi mostrare tutta la sua tristezza e la sua solitudine, in fondo in possesso di un’indole gentile e semplice, alla perenne quanto sordida ricerca di qualcuno da amare e che la ricambi. Una terza presenza femminile di rilievo è poi anche uno dei giocattoli preferiti di Bonnie; tuttavia sovente ignorata da Woody e Buzz.
In questa quarta puntata pare poi approfondirsi la ricerca al seguente quesito: ha senso l’esistenza di un giocattolo al di là della circostanza di ricevere l’amore di un bambino? Ed ancora, ha senso, trovare un nuovo padrone, un nuovo amico del quale rapire il cuore, cercando di non incappare nella sterile ricerca di un ulteriore presunto amore sostitutivo senza che questo sconfini nel sapore del puro palliativo?
In tal senso, i protagonisti di Toy Story 4 si aprono di più al mondo: accettano di fungere da attrattiva per il parco giochi destinato ai più piccoli o di seguire la brigata di un luna park itinerante, come nelle intenzioni di Bo Peep. È un cambio di rotta potente, l’accettazione di un nuovo possibile ruolo e il contestuale tramonto della propria originaria funzione, un passo avanti oltre la depressione di Jesse nel secondo film, la sopraggiunta consapevolezza di una nuova prospettiva di vita, che va accolta e non respinta, percependola come nuova fase e non come umiliazione per sopraggiunta inappropriatezza.
Nonostante qualche fase di stanca e qualche ripetitiva riproposizione di fughe rocambolesche e dagli schemi un po’ usurati, Toy Story 4 supera ampiamente la sufficienza. Carini gli inserimenti citazionali e non delle bambole assassine e dei pupazzi dei ventriloqui. Tuttavia è altresì evidente che Josh Cooley non disponga della stessa genialità, quasi inarrivabile, di John Lasseter.
Non rinverrete enormi effetti visuali, ma la trama resta divertente. Un buon prodotto, che batte ai punti il peso degli anni in un ideale match di boxe; al panorama dei gadget, possiamo anche dirvi che l’ondata di femminismo insita in questa quarta puntata porterà alle bambine qualche giocattolo di proprio gradimento in più nelle apposite rivendite a tema.
Tuttavia, nel complesso, la percezione è di assistere a un downgrade dei capitoli precedenti, pur con fiammate di buona volontà strutturale. La corda è stata tirata abbastanza, e anche Woody e Buzz iniziano a sbuffare di fisiologica stanchezza.
Segnalo, infine, un divertente siparietto, subito dopo i titoli di coda, tra i nuovi personaggi del film