Chi di noi, nell’arco della nostra vita, non ha mai provato la tristezza? Nessuno!
È capitato in seguito ad una perdita di una persona cara, alla fine di una storia d’amore.
È capitato in seguito a un fallimento di un progetto, alla bocciatura di un esame.
È capitato quando si è rotto un oggetto per noi importante o semplicemente per un cambiamento improvviso o difficile da gestire.
La tristezza è un’emozione che si innesca per comunicarci qualcosa. Quando ci sentiamo tristi, ci sentiamo anche un po’ più “scarichi” o demotivati. Ci sentiamo con meno energia, un po’ afflosciati.
La tristezza è un’emozione che ci ferma.
Vuole farci capire cosa o chi abbiamo perso. Vuole farci riflettere su ciò che è successo.
Vuole farci versare tutte le lacrime necessarie per elaborare il dolore della perdita. Questo è il modo per cicatrizzare le ferite e andare avanti con energia. È il modo per portare all’esterno il dolore. Per dargli il giusto spazio e poi poter ricominciare.
Ci consente di allontanarci temporaneamente dal mondo esterno per occuparci di ciò che è dentro di noi. Ci aiuta nell’elaborazione dei ricordi. Ci indica che stiamo perdendo qualcosa di importante e che se possibile dobbiamo far qualcosa per far sì che ciò non accada.
La tristezza è un’emozione di base legata al sistema dell’attaccamento. Un sistema innato che regola la vicinanza protettiva del bambino o dell’adulto ad una figura ritenuta importante e protettiva.
Permette il corretto funzionamento dell’attaccamento. Basta pensare ai bambini che, se non trovano i propri genitori diventano tristi. Piangono e sono spinti a rimediare a questa perdita, per esempio chiedono “dov’è mamma?” o la vanno a cercare.
Più in generale, la tristezza spinge la persona ad attivarsi per trovare una soluzione. Che sia anche solo, il comunicarla alle persone care in modo da ricevere conforto.
Ci permette quindi, di segnalare all’altro che abbiamo bisogno della sua presenza.
Ci serve per costruire le fondamenta delle nostre relazioni affettive più importanti.
Veicola messaggi, ci consente di sperimentare compassione, empatia ed essere altruisti.
Ci permette di diminuire i nostri errori. Fa in modo da farci riorganizzare intorno agli eventi spiacevoli della vita e ci costringe a pensare in maniera costruttiva.
Spesso la cultura ci porta a nascondere le emozioni ritenute negative in quanto spiacevoli. Per questo alcune persone mascherano la tristezza e credono di sostituirla con la rabbia o con la chiusura. Questo permette di non guardare dentro sé stessi. Permette di non affrontare il dolore. Le conseguenze però, sono tragiche.
Se camminate sopra ad una caviglia rotta, come se nulla fosse successo, cosa succederà?
Peggiorerete la situazione della vostra caviglia!
Succede la stessa cosa se si mascherano le emozioni.
Un dolore non elaborato non scompare. Si organizza in un modo nascosto e farà sempre più male.
Vivere la tristezza permette di sentirla, accettarla ed elaborarla.
Una leggera tristezza è un segnale di allarme. Ci indica che qualcosa non va.
Ma attenzione perché, quando quest’emozione ci accompagna per la maggior parte della giornata, per un lungo periodo o quando non riusciamo più a passare da uno stato mentale di tristezza ad uno diverso da essa, il quadro cambia. infatti, in questo caso, la tristezza crea le basi per la depressione.
Questa è una vera e propria patologia!
5 punti per gestire la tristezza
1. Nominare la tristezza
2. Riconoscere la tristezza in sé e negli altri e non avere vergogna di parlarne
3. Evitare di prevenire la tristezza. Conoscerla e convogliarla verso una nuova meta creativa
4. Riflettere sul suo significato
5. Parlare con qualcuno di caro delle cose tristi