In una location d’ eccezione, nelle sale espositive di Castel dell’ Ovo, (l’ antico isolotto di Megaride), una interessante mostra collettiva è visibile al pubblico fino al 14 ottobre 2017, dal titolo “Un’ altra realtà. Arte visionaria contemporanea”, patrocinata dal “Goethe Institut” e organizzata dalla Comunità Evangelica Luterana in sinergia con l’ Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli. Quindici artisti di diverse nazionalità che propongono la loro arte visionaria rielaborando in chiave moderna correnti artistiche del passato, oppure attingendo dall’ esperienza e dalla conoscenza della contemporaneità, nove italiani, due greci, tre ungheresi ed un tedesco, culture eterogenee accomunate da un’ unica passione, l’ amore per l’ arte.
Una full immersion nel percorso espositivo che inizia con le opere di artisti italiani, nei dipinti di Stefano Canepari , “il miglior amico del cane” e “Stessa direzione” è eloquente l’ influenza degli artisti fiamminghi e del primo Manierismo di Rosso Fiorentino e Pontormo, un mondo irreale, misterioso, abitato da maschere che rievocano la figura di Pulcinella, uno scenario in cui non si percepisce l’ estensione dello spazio e lo scorrere del tempo. Simile al Canepari per lo stile, è il quadro “L’ armadio normanno” della giovane Ilaria Del Monte, artefice di una commistione stilistica che racchiude la conoscenza dell’ arte antica e contemporanea, un dipinto caratterizzato da una cura dei dettagli, di derivazione fiamminga, visibili sul tappeto e sulle vesti della donna e l’ influenza della metafisica di De Chirico, con le due fanciulle statiche all’ interno di una camera, un fascio luminoso proiettato verso l’ interno proveniente dalla finestra, oltre alla conoscenza dell ‘amatissimo pittore Balthus, nella composizione l’ elemento onirico è protagonista, soggetti che assumono posizioni strane o che dialogano con gli animali in una atmosfera magica e fantastica.
Per capire la creatività dell’ artista Patrizia Comand bisogna partire da una affermazione: “Levia Gravia”, ogni cosa, anche seria e profonda, è trattata con leggerezza, con ironia, tipico dell’ intelligenza femminile, una tecnica pittorica eccellente, visivamente impattante, le donne sovrappeso dipinte dall’ artista sono cariche di sensualità, sono dinamiche e sicure nonostante il precario equilibrio, nel dipinto “La scalata” un groviglio di corpi morbidi si arrampicano ad una sottile scala, posizioni anomale e difficoltà dei movimenti sono la metafora della vita, a non arrendersi e ad affrontare essa con leggiadrìa e perseveranza, donne di “boteriana” memoria, solo nelle dimensioni, ma non nello stile, raffinato ed elegante, le sottili pennellate e l’ accostamento dei colori ci restituiscono una composizione armoniosa ed essenziale.
Tra le sculture esposte meritano particolare menzione due artisti, Fabrizio Fontana e Eva Caridi. Fabrizio Fontana è il più contemporaneo fra gli artisti in mostra, le sue sculture sono visivamente gradevoli anche se nascondono un diverso significato. In effetti osservare un teschio “G15” formato da piccoli giocattolini colorati, come fossero tessere di un mosaico, intriga e diverte, per un attimo ci si sofferma sull’ aspetto ludico dell’ opera, celando il suo “intimo” significato, in realtà l’ artista pone una riflessione su altri temi che potrebbero essere identificati sul rapporto giocattoli/consumismo o su vita materiale/morte, oppure riportare il mondo adulto ad una dimensione infantile, scevra da qualsiasi violenza o sofferenza.
Eva Caridi, invece, è una artista greca dalla cultura cosmopolita, le sue statue pur essendo di impostazione classica, sono decisamente moderne, utilizzando gesso grezzo e ferro, realizza sculture che indagano sul rapporto tra l’ essere umano e lo scorrere del tempo. L’ opera intitolata “Oblivion” esprime in maniera nitida questo concetto, il tempo che passa inesorabile e il continuo decadimento fisico dell’ uomo, un corpo statico, sospeso in uno spazio atemporale, una valigia posta ai piedi della statua ad indicare il tema del viaggio, della vita vissuta, una scultura che induce l’ osservatore ad una profonda riflessione sull’ esistenza e sulla caducità della vita. Fra gli artisti italiani presenti in mostra eccelle per tecnica pittorica la figura di Luciano Longo, nel dipinto “Capriccio notturno” (Artificio notturno) avviene una commistione tra diversi elementi, l’ archeologia classica si integra perfettamente con la natura morta, su uno sfondo tetro, con un cielo grigio e una tempesta imminente, i colori vivaci dei fiori all’ interno dei vasi greci separano nettamente i due piani di azione, da una parte il dinamismo del movimento delle nuvole sullo sfondo, dall’ altro, fiori statici e rigidi in primo piano. Nel dipinto “Passiflora” si ripete la stessa impostazione iconografica ma con un nuovo elemento, la presenza di due finestre dai rimandi rinascimentali. Tra gli artisti stranieri, invece, molto interessanti sono le due tele di Henning Von Gierke, entrambe sembrano delle quinte scenografiche, frutto della collaborazione dell’ artista con l’ ambito teatrale e cinematografico, una proficua e produttiva sinergia tra il pittore e il regista visionario Werner Herzog, il trittico “Luce e acqua-Eva e Lilith-La cacciata dal Paradiso” risente della pittura tedesca del Rinascimento, in particolar modo ad Albrecht Durer e a Lucas Cranach, osservando la tela lo spettatore è attratto dalla magia del paesaggio aspro e selvaggio, carico di suggestioni, le figure umane appaiono vittime delle forze naturali, un dipinto che rientra nel ciclo pittorico della “Genesis” con riferimenti ai miti classici e biblici e che focalizza l’ attenzione sulla nascita dell’ uomo e della natura. Gabor Szenteleki, invece, è un “manierista contemporaneo”, nel suo dipinto intitolato “Coltivatore”, il colore rosso della composizione ricorda una diapositiva in una camera oscura, riprende la lezione del Caravaggio e della pittura spagnola del XVIII e XIX secolo, ma lo attualizza, ne fa emergere la bellezza, ma anche il cinismo della nostra società, sempre di più caratterizzata da personaggi border line, un corpo nudo legato, inerme e inerte, schernito e provocato da individui privi di moralità.
“Edipo”, opera di Christos Pallantzas, è l’ immagine- locandina della mostra, è evidente l’ influenza della pittura nordica di Vilhelm Hammershoi, pittore di “interni” caratterizzati da un realismo rarefatto e silenzioso, oppone al suo mentore una applicazione del colore più intensa, molto più vicina agli ambienti mediterranei, pennellate che lentamente si avvicinano a forme di espressionismo, una realtà non più tangibile ma surreale, inafferrabile. Mozes Incze riesce nell ‘arte a contaminare con un certo virtuosismo la pittura e la scrittura, le sue idee e la religione, ciò che interessa all’ artista è il contatto con la moralità, se la tela “La penna dell’ angelo” è di impronta realista e di carattere spirituale, l’ altra opera presente in esposizione “Shift Ctrl S” è l’ evoluzione di uno stile pittorico che mira verso una scomposizione delle immagini, si intensificano i riferimenti alla tecnologia e gli unici elementi riconoscibili sono il cielo e le nuvole posti al centro della tela, le intense pennellate e l’ applicazione del colore creano un “vortice onirico”. A completare la mostra opere di Alfredo Casali, Lello Esposito, Giuseppe Marinelli, Jolanda Spagno e Peter Parkanyi Raab. Artisti provenienti da esperienze diverse accomunati da una propria visione dell’ arte contemporanea, un percorso ideale che induce il visitatore a nuovi spunti di riflessione.