Per una notte Napoli è diventata due città, una fuori dallo Stadio Maradona, con i soliti problemi e gli interrogativi sul domani, l’altra all’interno, colorata, illuminata dalla notte e dalle note di Vasco Rossi. Quando il rocker di Zocca sale sul palco per iniziare il suo show, lo stadio diventa una stanza affollata da sconosciuti che per una sera sembrano i tuoi migliori amici, mentre il mondo fuori continua a camminare per i fatti suoi. La magia del Blasco è tutta qui, per due ore riesce a far dimenticare a oltre quarantacinquemila persone gli affanni e le difficoltà di questi ultimi anni, parole come distanziamento e mascherina, lasciano il posto a poesie in musica che si susseguono come un temporale estivo, una carezza affettuosa che il settantenne ha voluto regalare ai suoi fans che hanno atteso il suo arrivo fin dal mattino.
Il tempo passa, inesorabile, lo si legge sul suo viso e da quello del suo popolo che per niente al mondo avrebbe perso l’occasione di respirarlo per un attimo, ma quando sei musica, quando nonostante tutto contano più le note che le il tic tac dell’orologio, tutto il resto rimane fuori, un universo parallelo nel cuore di Napoli. La scaletta proposta è un lungo viaggio, iniziato più di quaranta anni fa, supportato da una band esplosiva, capitanata dall’eterno Alberto Rocchetti alle tastiere, Stef Burns e Vince Pastano alle chitarre, Andrea Torresani al basso, Frank Nemola ai cori e alle tastiere, Matt Laug alla batteria, Beatrice Antolini alle percussioni,tastiere,cori. La sessione fiati è stata affidata a Tiziano Bianchi ala tromba, Roberto Solimando al trombone e Andrea Ferrario al Sax, che ha replicato l’assolo originale nella canzone Toffee. Claudio Golinelli arriva come Guest Star al basso.
Vasco non si risparmia, non lo fa mai, non sarebbe Vasco, si scaglia contro la guerra e contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne, dei bambini e anziani, per poi ringraziare per la creazione della donna, dell’amore, del sesso, ogni sua parola è seguita dal boato dello stadio, che segue il suo capitano con affetto e attenzione.
Il successo del Kom non è un mistero da svelare, ma un sogno da raccontare, perchè ogni canzone racchiude un ricordo, personale, intimo, le sue parole si trasformano in immagini di un momento passato, facilmente il sorriso viene bagnato dal pianto per essere asgiugato da una risata di gioia e quando si arriva ai saluti finali, con l’immortale Albachiara, c’è solo da ringraziarlo per aver dato un senso a questa notte.
A presto Kom, che quel saluto sia di arrivederci al prossimo concerto.