Che cosa significhi per la canzone italiana? Che cosa hai insegnato a quelli che sono venuti dopo di te?
“Credo di significare un fenomeno di professionalità: il proprio lavoro fatto nel miglior modo possibile. Questo ho insegnato a chi è più giovane di me: lavorare, lavorare e poi ancora lavorare. Io sono sempre quello che, ragazzo sconosciuto, se ne stava per ore a cercare motivi con la chitarra nelle camerette di pensione.”
Lucio Battisti, intervista a TV Sorrisi e Canzoni, 3 dicembre 1978
https://www.youtube.com/watch?v=n-9RIxpyyKA
Quando morì, fu lutto nazionale. Oggi il ricordo è più affievolito. Neanche un anno prima di andarsene, su RaiUno, Carlo Conti inventava malamente gli “abbattistamenti” in prima serata. Fans veri e soprattutto presunti giuravano di averlo visto davvero, al ristorante o al bar: “Lucio è canuto”, “Lucio è ingrassato”, “Lucio non mi ha neanche dato l’autografo”. Divo suo malgrado, soleva bestemmiare sul proprio santino. Detestava la fama, anzitutto la propria. In tivù smise di andarci appena poté.Nei Settanta esistevano due tipi di ribelli: quelli che lo ostentavano e quelli che odiavano chi lo ostentava. I primi si chiamavano cantautori, spesso erano bravi (Gaber, De André, Guccini) e a volte sopravvalutati (Vecchioni). I secondi erano i facili-apparenti. Quelli che la critica trombona non li sopportava, perché disimpegnati e probabilmente di destra (forse anche fiancheggiatori economici del terrorismo nero: Battisti venne accusato anche di questo).
https://www.youtube.com/watch?v=it3K7OmAUpU
- La collaborazioen con Mogol
Poi però scorgevi lo sberleffo del musicista pionieristico che cavalcava la normalità aulica di Mogol per inventare orizzonti nuovi. Quando una strofa non gli piaceva, lui ci “camminava” sopra, ora pronunciandola più velocemente e ora abbellendola con un azzardo negli arrangiamenti. Se Mogol scriveva cose (da arresto) tipo “Preferisco allevar vitelli e conigli”, in piena sbornia da ecologismo equestre con tanto di attraversata d’Italia al trotto (il paroliere rideva sempre nelle foto, il cantante proprio no), la reazione di Battisti era il gioco. La rivoluzione. L’estraniamento. Il coretto cazzeggiante ne Le allettanti promesse; La suite casereccia di Dio mio no, con trama da Attrazione fatale e i musicisti che esplodono in assoli multipli; o ancora le pulsioni etniche di Anima latina. Battisti si è nascosto tutta la vita. Forse perché ha incontrato una moglie che lo ha protetto troppo, da vivo come adesso, e forse perché sapeva già di mettersi sin troppo a nudo nei dischi. I capelli arruffati, il look da campagnolo arricchito (su cui Edmondo Berselli, battistiano di ferro, ha scritto pagine impagabili). Aveva mille registri: quando andò a Sanremo nel ’69, e fu l’unica volta, pianificò il successo con lucidità da iconoclasta che si travestiva da nazionalpopolare .
Lucio Battisti lascia dunque un vuoto incolmabile nel cuore degli italiani e, a 20 anni dalla sua scomparsa, vogliamo ricordarlo così.