“Chi dal Tempio di Serapide sceglie di salire a piedi verso la parte alta di Pozzuoli si imbatte, al di là di una curva, in un imponente edificio che guarda il mare, dotato di mura massicce, torrette e grate alle finestre. nel silenzio capita di sentire voci di donne che cantano, a volte un cicaleccio o voci alterate. La dimora di Sherazade? L’harem dell’ultimo sultano? E’ tutto questo e molto altro ancora il carcere femminile nel quale risiedono le ultime odalische…”
- Trama: Tra il 2012 e il 2016 nella Casa circondariale femminile di Pozzuoli è stato attuato con le detenute un progetto basato su corsi e spettacoli di danze orientali, organizzati con la partecipazione delle ospiti della struttura. Questa pubblicazione vuole raccontarne le difficoltà, le emozioni, i risultati e contribuire, con i proventi della vendita, a rendere più confortevole “l’area verde” destinata agli incontri delle mamme detenute con i loro bambini.
In questo caso non mi è possibile recensire il libro; non si può recensire e dare giudizi su un lavoro umano, su vicende vere raccontate tramite i dialoghi curati da Annalisa Virgili e Ornella d’Anna, con prefazione dello scrittore Maurizio de Giovanni e postfazione di Piero Avallone, magistrato del Tribunale per i minorenni di Napoli. Il libro è stato presentato martedì 2 ottobre nella sede della Fondazione Premio Napoli, all’interno di Palazzo Reale, con un incontro introdotto da Domenico Ciruzzi e Alfredo Contieri, rispettivamente presidente e vice della Fondazione.
Cosa vuol dire per una donna essere “libera”? E cosa accade alle “diversamente libere” che sono rinchiuse in una casa circondariale? Nel testo si cerca di rispondere a queste ed altre domande. Indagando con l’aiuto di quanto detto dai vari rappresentanti del mondo istituzionale anche le possibili soluzioni alternative alla pena detentiva e gli eventuali percorsi di reinserimento sociale. Attraverso interviste, disegni e immagini il libro ripercorre le storie delle donne rinchiuse e di chi le osserva “dal di fuori”. Non ci sono dita puntate né barricate: è un susseguirsi di emozioni e sentimenti propri a tutti gli esseri umani. Un invito ad una riflessione sulla situazione penitenziaria attraverso le testimonianze di chi vive 22 ore al giorno in una cella. Ma anche di tutte le persone che, a vario titolo, hanno preso parte al progetto di Annalisa Virgili , che ha scelto come metodo di comunicazione con le detenute il linguaggio dei gesti, questo grazie agli spettacoli di danza orientale organizzati in collaborazione con la Direzione Carceraria all’interno della struttura negli ultimi cinque anni.