In questo mondo parallelo del web, che sembra diventato la fiera del cinismo e dove, tra selfie e foto di gattini, pare emergere, in tutta evidenza, quella che Hannah Arendt definiva “banalità del male”, vogliamo muovere un appello. Vogliamo esprimere un moto d’umanità, il quale va ben al di là di ogni schieramento politico, perché cuore e ragione, anche se forse in molti l’hanno dimenticato, non sono un’ideologia, ma sono ciò che ci caratterizza in quanto animali sociali. Sentiamo necessario, dunque, affermare questo alla luce degli episodi di intolleranza e violenza che le cronache stanno portando alla nostra conoscenza, l’ultimo dei quali è avvenuto a Napoli, al Corso Umberto. Come riportato da molte fonti giornalistiche, nella notte del 20 giugno, infatti, un ventiduenne, Konatè Bouyagui, proveniente dal Mali, e con regolare permesso di soggiorno, mentre era intento a tornare a casa dopo il lavoro, è stato sparato all’addome con un fucile caricato ad aria compressa da degli individui che si sono accostati a lui con un’auto, deridendolo. Il giovane – noto chef perché ha partecipato alla trasmissione televisiva MasterChef e che attualmente gestisce un ristorante a Chiaia – ha riportato delle ferite, fortunatamente non gravissime, ma enorme è stato lo spavento.
Ebbene, oltre alla ferma condanna di coloro che hanno compiuto questo gesto imbecille, quindi, il nostro appello è nel senso che si possa alzare, finalmente, una ventata di raziocinio capace di spazzare via il clima avvelenato, ai limiti dell’isteria, di questi anni. Continuare a gettare benzina sulla fiamma del disagio è, infatti, pericoloso e può, come accaduto, ormai più di una volta, contribuire a portare ad armare il delirio e il fanatismo di qualcuno. A furia di sparate verbali, succede che, alla fine, ci sia pure chi spari sul serio. Il consenso, insistendo, invero, solo ed esclusivamente su una problematica, nell’estenuante campagna elettorale degli scorsi mesi, è stato ottenuto, ora auspichiamo che piuttosto che fomentare l’astio tra le catene più deboli della nostra società, ci si concentri su risoluzioni che – fin dai livelli internazionali per una più equa e corretta gestione dei flussi migratori – possano essere strutturali e che, al contempo, non dimentichino mai il volto dell’umanità. È vero che alla base del malcontento vi è l’esasperazione delle persone, ma è anche vero che non è una soluzione, ma è anzi una strumantalizzazione, contrapporre gli animi, contribuendo ad inasprirli ancora di più. Pertanto, in questo senso, è forse opportuno da parte di noi tutti sbattere i pugni e avanzare pretese affinché la condizione migliori, si cambi la retorica sprezzante e lo Stato, anziché del palliativo di qualche militare in più, intervenga con investimenti, sviluppo e decoro nelle zone difficoltose delle nostre città, come quella del Vasto a Napoli; un quartiere che necessiterebbe di attenzioni costanti e non solo di passerelle a seguito dell’aggressione perpetuata da un venditore ambulante abusivo, di origine straniera, ai danni di un farmacista. Ci sono realtà urbane, e non solo, dove, in effetti, i processi di integrazione non stanno funzionando e si sta creando un limbo di degrado, il quale, oltre ad essere sfruttato dalla criminalità, a lungo andare, rischia di divenire una miccia, soprattutto se c’è chi su quella miccia vuole costruire una carriera politica.
Probabilmente, chi in questo momento sta scrivendo questo articolo, verrà accusato di essere “buonista”, ovvero quella nuova forma elementare di insulto che va molto di moda per stroncare sul principio il confronto. Sentitevi liberi di farlo, ma non potete pensare di impedire che un giornalista o chi – come in questo caso – aspiri a diventarlo, offra un punto di analisi un po’ più complesso di uno slogan. Bisogna inchiodare tutti alle proprie responsabilità, a partire dai depensanti che sparano, fino a chi ha cavalcato l’onda dell’odio per tornaconto elettorale, passando per chi, in questi anni, nelle sue patinate campane di cristallo, ha fatto finta di nulla mentre si creavano, nelle periferie, intere sacche di disagio e povertà, prototipi dello scontro sociale.