Questo del regista Parvez Sharma è il primo film in assoluto nel quale si accostano l’Islam e l’omosessualità.
Premetto che questo documentario andrebbe visto solo per premiare il coraggio del regista e dei partecipanti, a cominciare dal primo che non è un musulmano perfetto. Sharma lascia parlare, sfogare i suoi “attori”, l’argomento è molto delicato e lui, da bravo professionista accarezza con la macchina da presa i suoi attori e non forza il loro comportamento. Ciò che vogliono dire lo dicono.
“Jihad” è un termine nel linguaggio dell’ Islam; connota un ampio spettro di significati: dalla lotta interiore spirituale per raggiungere una perfetta fede fino alla guerra santa. Letteralmente significa “sforzo”, individua lo slancio per raggiungere un dato obiettivo, e può fare riferimento allo sforzo spirituale del singolo individuo per migliorare se stesso.
Nel mondo occidentale però il termine jihad è stato prevalentemente interpretato come la guerra santa contro gli infedeli, lo strumento armato per la diffusione dell’Islam.
Il regista si addentra nel mondo segreto dell’omosessualità all’interno della fede islamica. Interviste a coloro che cercano di conciliare la loro fede cercando di camminare su una linea sottile tra persecuzione e onestà. Anche i leader religiosi che sono inequivocabili sull’argomento vengono intervistati e assumono una posizione di linea dura.
Seguiamo la vita di un giovane padre mussulmano Muhsin, è stato uno dei sostenitori più espliciti del diritto di praticare l’Islam in quanto persona apertamente gay . Una volta fatta la rivelazione lui non abbandona la sua fede, anzi combatte (jihad) per farsi accettare, asserendo che il Corano va interpretato. Un uomo tranquillo che si mostra in viso.
Tra gli interpreti del documentario anche Abdellah Taïa che è uno scrittore, regista e sceneggiatore marocchino, autore di libri bellissimi come “Melanconia araba” e “La vita lenta”. Ha studiato tra Rabat, Parigi e Ginevra. È stato il primo scrittore marocchino ad aver dichiarato la sua omosessualità.
Maryam una lesbica marocchina che vive a Parigi, convinta che la sua religione non la perdonerebbe per i suoi peccati, ma nonostante ciò incontra la sua una ragazza tramite internet. In una delle scene più dolorose e difficili del film, Maryam -sempre celando il viso alla macchina da presa- dichiara con feroce piglio masochistico che in realtà vuole essere punita per i suoi desideri. Lei vive un forte conflitto interiore, ma comunque non rinuncia all’amore.
Tante piccole storie di uomini e donne in varie parti del mondo, tutti con una forte fede a cui nessuno vuole rinunciare.
Un po’ quello che succede in tutte le religioni in cui l’omosessualità non è accettata ed è pesante per un devoto non essere accettato. Se la fede è pura e forte alla fine esula dal testo sacro, ed è normale che si cerchi un’interpretazione/escamotage per sentirsi amati e riconosciuti dal proprio Dio.
Sharma ha cercato di dimostrare che la sua religione era pacifica e amorevole e che, in effetti, non tutti i musulmani sono terroristi. Ne esce fuori una buona lettura dell’ Islam con lo scopo, per noi occidentali di vederlo per quello che è.
A Jihad for Love è stato proiettato in più di cento festival cinematografici
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