Alessandro Livrea, Country Manager, e Nicola Ferioli, Head of Engineering di Akamai Italia, spiegano come i recenti attacchi ai server VMware ESXi non aggiornati siano la dimostrazione che è necessario avere una completa visibilità sulla propria infrastruttura
Un tempo, proteggere gli oggetti di valore era più facile: si potevano nascondere, chiudere, bloccare, sapendo che sarebbero stati al sicuro da furti o riscatti. Ma ora che tutti i beni più importanti sono in formato digitale, le regole sono molto diverse e le dinamiche di protezione devono essere completamente ristudiate.
“Non avere il controllo sulla propria infrastruttura espone aziende ed enti pubblici a possibili attacchi di tipo ramsomware/malware che sfruttano vulnerabilità non opportunamente corrette o configurazioni non adeguate,” sottolinea Alessandro Livrea, Country Manager Akamai Italia. “È indispensabile che siano rispettate le policy aziendali e le best practice di sicurezza. I diversi parametri di configurazione devono essere sempre applicati correttamente e l’azienda deve verificare attentamente che tutte le patch di sicurezza per il sistema operativo e le applicazioni siano installate”.
Nel 2022 abbiamo assistito a una svolta negli attacchi informatici con la proliferazione di ransomware e attacchi DDoS as-a-service. Le organizzazioni criminali hanno reso gli attacchi informatici un’attività ripetibile e scalabile e, purtroppo, questa tendenza non scomparirà a breve anzi, si assisterà a un peggioramento del loro impatto.
In aggiunta, la complessità degli ambienti, costituiti da centinaia o migliaia di server distribuiti geograficamente, eterogenei, on-premise o in cloud, con diversi sistemi operativi, software applicativi e configurazioni, porta ad una perdita di visibilità sullo stato dell’infrastruttura e conseguentemente ad una grande difficoltà di gestione. Per questo motivo è necessario prevenire e non agire solamente a seguito di un attacco già avvenuto. Per prevenire è, però, fondamentale avere una completa visibilità sullo stato della propria infrastruttura.
Per raggiungere questo risultato servono strumenti che permettono di avere una visione unica, consolidata e certa sullo stato di ambienti che sono ampiamente distribuiti ed eterogenei. Questi strumenti saranno poi gli stessi che, in caso di non conformità, permetteranno di pianificare ed eseguire velocemente operazioni di correzione.
Tra questi troviamo la suite Akamai Guardicore che fornisce visibilità a livello aziendale, tramite una mappa visiva che include rete, risorse, processi, utenti e flussi di traffico, per scoprire come comunicano le applicazioni. Nello specifico, Guardicore Insight offre ai team di sicurezza una visione avanzata di endpoint e server su tutti i sistemi operativi e gli ambienti, consentendo di rilevare in tempo reale le risorse non conformi e ad alto rischio. Successivamente, possono essere impostati criteri e autorizzazioni per limitare l’accesso alle risorse vulnerabili e rafforzare la conformità in tutta l’infrastruttura.
Ad esempio, l’accesso agli utenti può essere consentito solo se le loro postazioni di lavoro soddisfano gli standard di sicurezza dell’organizzazione; oppure tutti gli endpoint che accedono alle risorse aziendali devono avere installato un EDR aggiornato. Questo livello di granularità dei criteri è impossibile da raggiungere con i firewall di rete tradizionali.
“I criminali investono costantemente per migliorare le proprie tecniche di attacco”, aggiunge Nicola Ferioli, Head of Engineering di Akamai Italia. “Allo stesso modo le aziende dovrebbero investire in tecnologie che permettono di aumentare le proprie difese e di ridurre il rischio.
Una modalità efficace consiste nell’utilizzo di agent software installati su ciascun server nella propria infrastruttura informatica. La flessibilità del modello basato sull’agent di Akamai Guardicore permette di monitorare lo stato di ciascun server e di evidenziare eventuali non conformità a livello di sicurezza, indipendentemente dalle sue caratteristiche. Ma anche opzionalmente di intervenire limitando le possibilità del singolo server di dialogare con altri sistemi, in modalità proattiva (sulla base delle policy aziendali e dei requisiti di compliance) oppure reattiva (per limitare la diffusione dell’attacco una volta che sia già avvenuto)”.
Gli strumenti focalizzati sulla visibilità si devono poi affiancare a tutti gli altri sistemi di prevenzione e contrasto ai ramsomware, come i filtri sulle email in ingresso, il controllo delle connessioni verso sistemi compromessi o di Command&Control, i sistemi che limitano la propagazione di una breach già avvenuta, come la microsegmentazione e il ringfencing delle applicazioni critiche.
“Quello che è accaduto in questi giorni, con l’ondata di attacchi ramsom verso sistemi della Pubblica Amministrazione in Italia e in Europa, ci dimostra, ancora una volta, come in ambito sicurezza la prevenzione e l’awareness siano il primo investimento che un’azienda deve fare”, conclude Livrea. “Spesso gli utenti non applicano le patch di sicurezza e non cambiano nemmeno le password compromesse, sperando di passare inosservati e di non ricevere attacchi.
Lo stesso fatalismo viene applicato anche in ambito enterprise, dove gli amministratori di rete sperano di non essere colpiti. Oggi però, considerato il numero dei sistemi e dei server da proteggere e la frequenza degli attacchi, è statisticamente certo che prima o poi si riceva un tentativo di intrusione e che esista un qualche anello debole, dimenticato o trascurato, che può essere sfruttato per i primi passi di un attacco. Più che una questione di se si verrà attaccati è diventata una questione di quando”.
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