Dopo la serie di numeri di Falco, dedicati a miti del folklore, il cambio di direzione alla sceneggiatura recupera un’altra tradizione dampyriana: “l’omaggio” alle grandi firme dell’horror mondiale. Nello specifico Stefan Grabiński, scrittore polacco attivo a cavallo fra XIX e XX secolo. Non uno dei nomi più noti del genere, almeno per il sottoscritto. Confesso anzi di non conoscerlo affatto. E a dire il vero la sua storia editoriale non sembra particolarmente fortunata. Venne infatti largamente dimenticato fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando i suoi scritti vennero recuperati. Ma dopo gli anni ’80 venne nuovamente messo da parte. A recuperarlo per il pubblico italiano è stata Edizioni Hypnos a partire dal 2012, con la raccolta “Il Villaggio nero”.
Stefano Piani dichiara il proprio debito con l’autore fin dall’inizio. In una delle tavole iniziali compare infatti Demon Muchu, Il demone del moto, una raccolta di racconti brevi di Grabiński, che uno dei personaggi sta leggendo sul treno verso Leopoli. Sia il treno che la città sono per altro due elementi caratteristici della narrazione di Grabiński di cui Piani recupera soprattutto l’approccio, costruendo un horror fondato sulle ossessioni umane. Per lo scrittore Polacco, a quanto pare era la mente umana, le sue ossessioni e il suo problematico rapporto con la realtà la vera fonte dell’orrore.
Inquietante e misterioso fino alla fine, Possessione! fa a meno delle risse e delle sparatorie da action movie a cui ci avevano abituato la serie, per passare ad una narrazione più sottile, molto vicina al all’ horror weird. A cominciare dalla assenza di risposte definitive, quasi alla “Ai confini della realtà”. Una serie di strani suicidi macchia la città polacca di Leopoli, e l’unica cosa che sembrano avere in comune è una donna. Sfuggente, enigmatica, la vera protagonista è una femme fatale nel vero senso della parola: irresistibile e mortale. Tutti i suoi amanti muoiono, eppure è impossibile dirle di no. La violenza allora diventa il leitmotiv del racconto, ma perde qualsiasi tratto avventuroso o estetizzante. Inflitta e autoinflitta, esplosiva, imprevedibile e morbosa, la violenza è qui il frutto concreto dell’ossessione, dell’ansia di possesso. È anche in questo senso un impossessamento, in quanto alienazione della volontà nel desiderio spasmodico del dominio. L’attaccamento all’oggetto del desiderio assume i contorni di una malattia. Ma dietro non c’è il meccanicismo della regola biologica. C’è piuttosto il fantasma del desiderio e la paura della morte. Sia nel caso delle vittime, che trasfigurando la realtà alla luce delle proprie paure/pulsioni/fantasie vanno infine incontro alla morte, quasi come una liberazione da quell’insostenibile alienazione nel possesso. Ma soprattutto quello “originario” della carnefice: la solitudine, l’abbandono, l’impossibilità – o meglio l’incapacità – di elaborare il lutto, che la spingono a riviverlo ancora e ancora sulla sua pelle, attraverso i propri amanti. Un dolore che si maschera di piacere fisico, carnale, viscerale. E confondendo eros e thanatos replica sé stesso attraverso la morte. Un piacere perverso e paradossale, che può condurre, nella logica del racconto, ad una sola conclusione.
L’unica definitiva definitiva…
Dampyr 240 – Possessione!
Autori: Stefano Piani, Vanessa Belardo
Casa Editrice: Sergio Bonelli Editore
Prezzo: 16×21 cm, b/n, pp. 96,€ 3,90.