Vallo della Lucania (SA), 19 gennaio – Entrando nel locale respira aria di contemporaneità, l’atmosfera è calda, ma non eccessivamente intima. Il Draft è uno di quei pub che ha deciso di smettere di imitare il classico stile inglese, legno-e-medioevo, virando decisamente verso un arioso stile post-industriale. Le riproduzioni dei Banksy campeggiano un po’ ovunque, sui muri coi mattoni e i tubi a vista, accanto alla parete delle birre.
Nascosto in un angolo del palco, proprio un libro su Banksy tiene buona compagnia al musicista, che questa volta è Spookyman: One Man Band, composta dal romano Giulio Allegretti, bluesman classe ’86.
L’inizio è previsto per le 22. Arrivo un paio d’ore prima, quando il sound check è ancora in corso, così dopo una rapida stretta di mano mi accomodo e mi godo le prime note della serata. Non ci vuole molto: prima che lo show inizi sul serio, birra in mano iniziamo la nostra chiacchierata.
Partiamo dalle necessarie banalità. Perché Spookyman?
Spookyman significa uomo spettrale in inglese, ed è esattamente questo: uno spettro. È la proiezione di una parte di me, che si manifesta quando suono. In quel momento non sono più Giulio Allegretti, persona comune con i suoi momenti di fatica, felicità e tristezza. Sono solo l’interprete delle mie canzoni. Che è poi quello che dovrebbe fare secondo me ogni musicista, ogni artista: salire sul palco, mettere da parte la propria vita ed esprimere quel brano.
Cosa che ci porta alla prossima domanda. Nelle mie interviste sto raccogliendo un po di definizioni sul tema: cos’è l’arte per te?
Un espressione, un ricercare degli archetipi. L’arte è la ricerca profonda di una sensazione. Fare arte è mettere a nudo i pensieri più profondi, senza filtri, senza finzione, senza dover piacere per forza.
Per come la vedo, uno può distinguere un’opera d’arte da un prodotto commerciale perché la prima non piace a tutti. L’arte è discutibile, ma suscita per forza sentimenti nelle altre persone, che siano di sdegno, di apprezzamento, di gioia…
E il blues? Voglio dire, la definizione che ho trovato è: “forma di musica vocale e strumentale la cui forma originale è caratterizzata da una struttura ripetitiva di dodici battute e dall’uso, nella melodia, delle cosiddette blue note”. Ma cosa rappresenta realmente il blues per chi fa blues?
È un modo per reagire alla vita, un esorcismo. Un esorcizzare i momenti bui, o anche i momenti belli, ma sempre con ironia.
Il blues parla sostanzialmente di vita. È musica popolare americana, nasce dalle parti più povere della società, che nonostante tutto cercano di vivere la propria vita e di divertirsi.
Come ti sei avvicinato a questo genere?
Io vengo dalla New wave, che è un genere che si lascia molto alla depressione. Il suo ambiente è legato alla notte, all’ombra. Trovavo piacere nello scrivere brani in quello stile, ma alla fine non approdavo mai a una rivalsa. Non mi aiutava con il morale, ecco.
Il blues invece lo può fare chiunque. E chiunque tu sia, quando lo fai sei con te stesso, e apprezzi anche i momenti brutti.
Ma c’è anche un altro motivo: il blues è sostanzialmente formato da 3 accordi, volendo si può suonare addirittura con uno solo. Quindi risulta molto facile per i musicisti aggregarsi, e io ricerco proprio questo effetto di improvvisazione continua. Voglio un suono che non sia sempre perfetto, uguale, ma che dipenda dalle sensazioni del momento, che muti in base alla situazione. Gli accordi semplici del blues ti permettono di farlo facilmente. Ti consentono di reinterpretare il brano da angolazioni ogni volta diverse.
Dopo una serie di collaborazioni hai deciso di diventare un One Man Band. Come ti è venuta l’idea?
Un giorno ero a casa a provare un pezzo assieme al mio registratore multi traccia, e mi è capitato di pensare “qui ci vorrebbe proprio un tempo da gran cassa.” Così ho preso una valigia e ho cominciato a batterci sopra.
Non facevo ancora lo OMB però, semplicemente suonavo a casa, con una valigia e un secchio percossi con le mani, e sovraincidevo le registrazioni.
Circa tre anni dopo quel primo esperimento, ho scoperto un omb brianzolo, che si chiama Mr. Occhio, uno dei primi che vedi sulla piattaforma di myspace. Lui suonava una gran cassa e un rullante con i piedi, insieme a chitarra e voce. La cosa mi ha affascinato, e facendo ricerche ho scoperto che in America si usa molto la valigia come gran cassa… Ho detto “ah allora lo fanno, funziona!”
Quindi quella sul palco è una vera valigia? Cioè ti fa letteralmente da bagaglio?
Certo! Ci metti tutto dentro, parti e quando arrivi la svuoti e la suoni. Per un certo periodo ho usato anche una stomp-box, che mi ero costruito da solo, ma poi sono ritornato alla valigia: è incredibilmente funzionale!
La scatola di latta invece me la sono inventata…o almeno non ho visto altri usarla. Dentro ci ho messo una cordiera in modo che dia un effetto più simile a un rullante.
A settembre è uscito il tuo cd. Si chiama come te e contiene 13 inediti. Puoi dirci qualcos’altro? Com’è nato?
Io suono in questa formazione da omb da 7 anni, e in realtà questo sarebbe il mio quarto disco. Il quarto dopo tre mai pubblicati, perché non ero mai soddisfatto dei miei lavori.
Ai miei concerti veniva sempre un ragazzo, Andrea Maceroni, che ha studiato da tecnico del suono e intanto si è aperto uno studio di registrazione: lo Slam Studio
Alla fine è riuscito a convincermi a registrare lì, però avevo scritto 50 canzoni. Lui mi ha detto “non ti preoccupare, mandamele e io ne faccio una selezione.” In pratica mi ha fatto anche da produttore, è stato fantastico. Ci tengo a dirlo perché il prodotto finale mi ha soddisfatto molto.
Ho registrato in due settimane, a Corvaro, sulle montagne fra Abruzzo e Lazio. Non c’è stato niente di programmato, è stato un progetto nato così, all’improvviso.
Dentro ci sono delle collaborazioni, ma in generale è un disco molto in stile One Man Band.
C’è qualcosa che collega i pezzi, che li accomuna? Il cd è descrivibile in qualche modo?
Tutte le canzoni parlano di cose che ho vissuto realmente. Sono fatti veri che mi sono accaduti. Non solo storie, anche semplici riflessioni sulla vita. Ecco perché il titolo, Spookyman: parla della parte più profonda di me, senza filtri. Tratta avvenimenti tristi o piacevoli, ma mai inventati. Sono cose che mi sono accadute realmente, senza iperboli, finzioni o edulcorazioni.
Prossimi progetti?
Girare l’ Italia e l’ Europa. Già lo facevo in realtà, ma ora ho un prodotto da presentare, quindi sto lavorando a un tour molto intenso.
Ho anche incontrato due musicisti, un contrabbassista e un batterista, che condividono in pieno il mio stile e la mia musica. Avevo deciso di fare omb anche per questo: è facile incontrare un musicista che sappia suonare uno strumento, ma non è detto che quello che suona, e come lo suona, sia adatto a quello che fai tu. Anzi molti musicisti si trovano a fare delle band che si sciolgono perché poi ognuno vuole andare in una direzione diversa. Queste persone invece rispettano il mio personaggio; si è creato un rapporto solista-musicsti dove tutti mettono il loro. Sono dei professionisti, che sanno come enfatizzare e valorizzare i miei pezzi.
Infatti il prossimo disco, al quale sto lavorando e che spero di registrare a gennaio, sarà molto diverso da questo: non sarà più album da one man band, ma per la maggior parte comprenderà la loro partecipazione. Stiamo anche organizzando un tour in trio per questo album.
Mentre parliamo il locale si riempie, e l’ora del concerto è già scoccata da un po’. Dopo un’ultima sigaretta Giulio prende posto sulla sua sedia di legno, fra le casse, il microfono e la valigia. E la scatola di latta. È l’uomo solo sul palco adesso, lo Spookyman ha fatto la sua apparizione.