Djungle, graphic novel di Tommaso Vitiello e Marco Itri, ha visto la luce pochi mesi fa per i tipi di Panini Comics, e si è subito imposto all’attenzione della Nerdo-sfera.
Fumetto western-furry (con protagonisti animali antropomorfi), Djungle è apparentemente una storia di vendetta dai toni violenti e maturi, arricchita dai colori di Francesca Carotenuto.
Unendo le caratteristiche del genere western all’espressività delle caratteristiche animali, le tavole di Djungle ricostruiscono un’atmosfera dichiaratamente cinematografica e adulta, trasportando il lettore in una storia che nasconde più della semplice vendetta western…
L’idea di raccontare l’umanità attraverso maschere animali è senz’altro antica. Il buon Walt Disney, fra tantissimi altri, prese l’idea (e non solo quella…) da una tradizione popolare risalente direttamente ad Esopo. Eppure il fascino e l’efficacia narrativa di questo stile restano intatte. Ne è prova proprio questa graphic novel, che si inserisce a modo suo in un rinnovato filone furry, che negli ultimi anni non smette di scoprire nuove potenzialità.
Dal ritorno di Paperinik a Blacksad, passando ovviamente per Bojack e (seppur in maniera molto diversa) per La Guardia dei Topi di Petersen, gli animali ci parlano in maniera spesso più diretta, cruda e disarmante, oltre che ironica – forse disarmante perché ironica – di quanto possano fare gli esseri umani. Se d’altro canto sul palco della narrazione è solo la maschera a poter parlare, quelle totemiche possono essere considerate le maschere definitive: facendo scomparire l’uomo in quanto individuo esse lo universalizzano, rivelandone insieme il carattere, le pulsioni, i limiti, i vincoli. A volte comici, altre tragici.
Di questo e molte altre cose abbiamo parlato direttamente con gli autori di Djungle, al Napoli Comicon di quest’anno.
Carmelo Nigro: Prima di parlare del fumetto parliamo degli autori: come nasce il vostro sodalizio, è la prima volta che collaborate?
Tommaso Vitiello: La storia è strana: nel senso che abbiamo fatto entrambi parte dello stesso collettivo di artisti, che nasce qui in Campania, proprio qui a Napoli. In realtà però Marco esce dal collettivo nel momento esatto in cui entro io, per cui non ci siamo mai incontrati. Marco diventa un bravissimo tatuatore, e si vede <Marco mostra i suoi numerosi tatuaggi>, ma anni dopo decide di ritornare al mondo del fumetto e mi contatta. Noi due non ci conoscevamo, Cioè ci conoscevamo tramite facebook (ormai su facebook conosci tutti) però non ci eravamo mai visti. Mi fa: vuoi scrivermi una storia? Va bene, sfoglio il suo portfolio, penso a quale storia potevamo fare. Avevo una mezza storia in mente e tirammo fuori Joyland, che era il primo titolo di Djungle.
La cosa divertente che io racconto sempre, è che in realtà anche dopo noi non ci siamo mai visti. Abbiamo lavorato, abbiamo tirato fuori la sceneggiatura, le tavole, abbiamo fatto le correzioni, ci siamo sentiti, ma tutto tramite fb. Ma ci siamo visti al Comicon dell’anno scorso la prima volta…
Marco Itri: …Dopo sei mesi di chiacchierate su fb…
T: …E la prima cosa che mi dice è, ma come sei alto. Che è una cosa che mi hanno detto anche stamatina poi: gente che ho rivisto dopo tanto tempo mi dice ma come sei alto, sei sempre stato cosi alto? Ma va beh… La fortuna è stata che i campani in generale, i napoletani, sembra che non lavorino, non facciano molto, ma perché non se ne parla sui social. I campani in realtà lavorano molto speso insieme. Io per esempio vengo da Torre del Greco. Torre del greco che fa 80 mila abitanti, ha un gran numero di fumettisti, di alto livello; ad esempio Maurizio Fiorentino, Pasquale Quarano. Lo stesso Marco che è di Salerno, proviene da cultura del fumetto molto importante.
M: La Scuola bonelliana
T: Ma nonostante questo ci si perde. Sembra che la Campania sia sempre in secondo piano…
C: Ora che abbiamo parlato degli autori, “chi è” Djungle? Chi è il protagonista?
T: Allora il protagonista in realtà non Djungle, è Lev. È un leone, un ex sceriffo in questo mondo western. In realtà io cerco sempre di evitare di parlare della storia, perché ci sono parecchi spoiler possibili. Però c è un piccolo particolare: dato che io sono una persona che parla a macchinetta come dicevo prima, a volte mi perdo e inizio a raccontare tutta la storia, alla fine il lettore dice va beh l’ho letta che lo compro a fare. Invece no, comprate il volume. Posso dirvi questo: molti lo hanno paragonato a Blacksad, che è un noir antropomorfo ambientato in una città degli anni 50. Che ovviamente è un onore enorme per noi. Il nostro inizialmente può sembrare un western antropomorfo, ma in realtà non lo è. Non è esattamente un western, c’è un piccolo segreto. Ci sono delle piccole cose all’interno della storia che raccontano altro….
C: Ho trovato molto interessante la ricerca di coerenza nell’usare gli insetti come cavalcature, come animali…
T: Come animali in generale. Perché il problema è proprio quello: quando fai un antropomorfo ti fa il dubbio di cosa mangiano? Perché non ci saranno le mucche da allevamento o i maiali da allevamento. Cosa cavalcano? Gli animali da compagnia cosa sono? Diventa sempre complicato, perché potrebbe venir fuori il problema di Pippo e Pluto: Pippo è un cane antropomorfo e Pluto è un cane e basta.. Quindi parlando con Marco abbiamo trovato diverse soluzioni. Una era con gli insetti… Mi ha odiato.
M: Un’ altra era con i rettili…
T: Mi ha odiato…
C: Sono complicati?
M: Gli insetti sono molto complicati da far muovere.
T: Inizialmente stavamo valutando i rettili, come nel caso di ControNatura di Mirka [Adinolfo N.d.R.], però alla fine ho tirato fuori un’idea, che alla fine capirete leggendo il fumetto, dove rettili e uccelli sono anche loro antropomorfi. Anche se nella storia non si vedono, e c è una motivazione per cui non si vedono…
C: A proposito di questo, sarebbe stata una delle ultime domande, ma visto che siamo sull’onda, ci sarà un sequel o un ampliamento di qualche tipo?
T: Allora, io tendo a scrivere sempre storie auto-conclusive, perché mi piace che il lettore possa prendere un volume singolo, sfogliarlo e magari lasciar perdere se non gli piace, dato che esistono i collezionisti compulsivi; lo sono stato anche io, quindi capisco: compri il primo volume di una saga, non ti piace ma continui a comprare gli altri perché in libreria è brutto avere solo il volume 1). Quindi, la storia è auto-conclusiva con finale aperto. Valutiamo la possibilità di farne un due. Non ti posso dire sì o no, perché ovviamente dobbiamo parlare anche con l’editor Diego Malara, che ha fatto un lavoro meraviglioso: ci ha seguito come se fosse una mamma chioccia. Diciamo che speriamo. O magari facciamo qualcosa di completamente diverso, e tagliamo la testa al toro.
C: Anche se non è propriamente un furry classico, l’antropomorfismo c’è. È una scelta che trovo interessante, soprattutto negli ultimi tempi. Ci sono tantissime serie sul genere. Penso anche la grande successo di Bojack, per esempio. Mi incuriosisce questa scelta, che trovo molto espressiva, ma mi piacerebbe sentire una spiegazione da chi l’ha usata, capire…
T: …Perché è espressiva? Hai citato Bojack. Paradossalmente Bojack ha avuto un po’ di influenza sulla scelta dell’antropomorfo. Come dicevo prima, quando Marco mi propose di lavorare insieme, aprii il suo portfolio e mi resi conto che lui con gli antropomorfi è veramente eccezionale. Così dissi, approfittiamone. Io avevo un’idea che era molto simile a questa finale di Djungle, ma non aveva gli antropomorfi. Dissi la cambiamo, la modifichiamo leggermente e mettiamo gli antropomorfi. Bojack, perché avuto una certa influenza? Non sono un grande fan: la serie depressiva un po’ mi inquieta. Però quando ho visto quel cartone animato su Netflix, perché ovviamente il bidge watching diventa ormai compulsivo, ho trovato delle cose veramente geniali. Non posso mai dimenticare alcune cose veramente geniali. Ad esempio c’era una scena all’ aeroporto: c’era questo uccello con l’ala fasciata. E io mi chiedevo perché l’anno messo? Ci sono arrivato circa dieci minuti dopo: perché ha l’ala fasciata e non può volare e quindi è in aeroporto. Oppure a un certo punto sono in tribunale, ci sono delle gazzelle e il leone, e le gazzelle sono tutte schiacciate in un angolo, mentre il leone le guarda in maniera strana, come a chiedersi che vogliono. Ed è geniale. Questo mi piace di Bojack: mettere, a parte l’antropomorfismo, i comportamenti animali all’interno della serie, renderli ridicoli e divertenti come se fossero quelli umani.
C: Un utilizzo a 360 gradi dell’antropomorfismo che siete riusciti a utilizzare nel fumetto.
T: In parte sì. Senza spoilerare, alcuni personaggi sono stati costruiti intorno all’animale. Lo stesso Lev, il leone protagonista che non ha la criniera… ma c è una motivazione per cui non ha la criniera… Oppure Cuchip, il caprone, che è diciamo la spalla di Lev, è costruito come personaggio leggermente comico. A un certo punto c’è una scena in cui c’è un gatto che insegue topo. Ma sono scene messe così di fondo, per arricchire.
C: Interessante secondo me anche la scelta del nome del protagonista: Lev, come Leone…
T: Allora, ora ti rivelo una cosa che sanno in pochi: io non so scegliere i nomi. Potrei perdere ore e ore sui nomi dei personaggi. Allora che ho fatto per questo fumetto? Li ho tradotti nelle lingue più assurde del mondo: Lev significa leone tipo in una lingua africana. E tutti quanti i personaggi hanno i nomi tradotti in altre lingue. Tranne forse lo sceriffo, che inizialmente doveva essere un cavallo e alla fine si è trasformato in un toro, e il caprone Cuchip, che inizialmente volevo fosse una donnola. In questi casi sono rimasti i nomi originali ed è cambiato l’animale. È un segreto, non lo diciamo a nessuno, rimane solamente nell’intervista…
C: Ci sono anche dei grandi rimandi al cinema, a cominciare dal titolo, ma anche dai titoli di testa…
T: L’idea è proprio quella. Mettere un leone come protagonista, indipendentemente dal fatto che abbia tutto un modo di muoversi e di agire come un leone, è anche un omaggio a Sergio Leone, uno dei più grandi registi western, cioè il regista che ha venduto il west agli americani! Poi sono un grande appassionato di cinema. Mio nonno è diventato sordo a un certo punto della sua vita, ma lui era appassionato di western, e così li guardava senza volume, perché noi facevamo confusione a casa, sai eravamo quindici nipoti, e lui si metteva sulla poltrona, accendeva la televisione e guardava un western togliendo il volume, perché tanto li conosceva tutti quanti a memoria. E a me è nata questa passione, perché vedevo i film non sentendo le voci e non conoscendo la storia, e inventavo storie completamente mie. Era quella la cosa divertente.
In Djungle ci sono diversi rimandi: c’è per esempio il classico duello che non potevamo esimerci dal mettere, perché era fondamentale; non puoi fare un western senza duello, i canoni del western sono molto strutturati. E noi abbiamo cercato di mantenere quella struttura. L’idea centrale però era che sotto la struttura western principale, ci sia un’altra storia, una storia familiare. Una trama diversa da quelle western classiche che racocntano principalmente di vendetta.
C: Abbiamo parlato di Leone, ma il titolo non può ricordare il film di Tarantino. In fondo sono rari i furry così violenti.
T: L’idea era proprio quella. Anche se, tu mi dici Django di Tarantino, io ti dico Django di Corbucci. Non perché non mi piaccia il film di Tarantino, ma perché per me il film di Corbucci, interpretato da Franco Nero, è molto più violento di quello di Tarantino. Anche se parlando degli anni 70 e non c’era la possibilità di usare gli effetti speciali che usa Tarantino, un uomo che caccia una gatling da dentro una bara non è proprio una cosa normalissima. È stato uno dei miei film preferiti. Il Django di Tarantino è molto bello, l’ho adorato, ed effettivamente quando abbiamo scritto Joyland/Djungle l’idea era di approfittare degli animali ma non per un pubblico giovane. È un fumetto serio, come nel caso di Blacksad. Voglio sperare che venga preso come un fumetto… è brutto dire serio perché sembra che poi voglia sminuire la roba per giovani, in realtà non è vero…. diciamo un fumetto più per adulti. Mettiamola così: appartiene ad una linea un po più per adulti.
C: E in effetti non c’è ambiguità su questo…
T: Senza spoilerare ti racconterò una cosa: Francesca Carotenuto è la nostra colorista; non dimentichiamo mai di citarci perché ha fatto un lavoro meraviglioso, ha lavorato tantissimo sulle tavole. A un certo punto, nel fumetto ci sono queste lepri che rappresentano i mormoni; e ce ne osno tanti, come era per i mormoni all’epoca. A un certo punto Francesca fa “basta non voglio più colorare lepri”. Non c ‘è problema… e leggendo capirete perché non c è problema <ride minacciosamente>
C: Ultima domanda, classica. Piani futuri?
T: Bella domanda. Io dico sempre che uno sceneggiatore deve lavorare su molte cose contemporaneamente, perché uno sceneggiatore lavora di meno su un progetto chiuso come un fumetto, rispetto a un disegnatore. Un disegnatore tira fuori una tavola ogni uno o due giorni se è bravo e se è veloce, come Marco ad esempio. Uno sceneggiatore se è bravo riesce a tirare fuori anche cinque tavole. Quindi il tempo vuoto per uno sceneggiatore è tanto. Vuoto sempre per modo dire. Quindi io sto lavorando su diversi progetti. Anticipazioni ovviamente non te ne posso fare perché non ho avuto autorizzazione a fare anticipazioni, è sempre quello il problema principale….
Io: Però ci sono…
T: Ci sono Ci sono. Al Lucca Comics o al Comicon dell’anno prossimo, Lo scopriremo. Io spero di riuscire a portare anche un secondo volume di djungle a questo punto. <Si rivolge a Marco> Tu, progetti futuri?
M: Tartarughe Ninja.
T: Diciamolo diciamolo…
M: Ho iniziato a lavorare sulle copertine delle Tartarughe Ninja e spero di rimanere su questa strada è una grandissima soddisfazione
T: Io per altro lo invidio, perché sono tra quelli che leggeva le Tartarughe Ninja quando uscivano sul Corriere dei Piccoli, sul giornalino. E mio padre mi odiava perché avevo la stanza piena di giornalini. Adesso sapere che lui sta lavorando sulle tartarughe ninja mi riempie di invidia… Voglio lavorare anche io sulle tartarughe ninja, voglio scrivere una sceneggaitura per la serie… e proverò, proverò.