Il 21 novembre 2016 la piccola Sara muore, a soli 9 anni, in modo improvviso e inaspettato. L’evento travolge la vita tranquilla e ordinariamente felice di una famiglia. Cosciente della possibilità di perdersi nel dolore di una morte inspiegabile, impaurito da una piega imprevista presa dalla propria vita, il padre Alessandro racconta i due mesi successivi al funerale della figlia, descrivendo gli eventi, le situazioni, gli incontri avvenuti in quel periodo. E analizza, in forma di diario, se stesso e gli altri componenti della famiglia, la moglie Lu e i figli Francesco e Stefano. Nel farlo, si interroga sulle questioni più profonde dell’esistenza, dal senso stesso della vita alla sua precarietà. E lo fa senza giungere a una risposta, ma mettendo in luce la fragilità della nostra condizione e la necessità di partire da questa fragilità per costruire un’esistenza cosciente, che sia frutto di scelte e non assomigli troppo all’inevitabile rotolare di una palla su un piano inclinato. Alessandro descrive il suo dolore attraverso racconti personali che possono parlare a ognuno di noi. Dalle sue parole e dalla reazione della sua famiglia traspare la speranza che, sebbene non si possa dare un senso a una morte senza senso, si può forse dare un nuovo senso alla propria vita.
EDB
Alessandro Flora è professore ordinario di ingegneria geotecnica all’Università di Napoli Federico II e membro del consiglio di presidenza dell’Associazione geotecnica italiana.
INTERVISTA
Ha iniziato a scrivere Dove sei? sotto forma di diario. Le sue sono grida di dolore e disperazione. Descrive la sua vita senza Sara. Quando ha deciso di pubblicarlo?
La sera del 21 novembre 2016 rientravo da lavoro e credevo mi aspettasse una tranquilla cena familiare. Routine, insomma. Come andare a letto la sera e sapere che il giorno dopo il sole sorgerà. Invece sono precipitato in un pozzo di dolore in modo totalmente inaspettato, e la caduta è stata dolorosissima. La sorpresa è stata così forte che sono andato letteralmente in tilt, e allora ho deciso di usare la scrittura per provare a vedere se ero ancora sano di mente. Per paura, forse. Come dico spesso quando mi chiedono il perché abbia iniziato a scrivere, l’ho fatto per provare a mettere ordine nei pensieri. E’ stato come provare ad accendere una torcia sul fondo di questo pozzo buio in cui ero caduto. Almeno per come sono fatto io, il pensare di per sé non mi era sufficiente. Appartarmi a piangere o ad accarezzare un peluche di mia figlia non lo sarebbe stato ugualmente, considerando che tra l’altro c’erano mia moglie e i miei figli, e in situazioni come queste non si può caricare del proprio dolore chi soffre già di suo. Tutti abbiamo dovuto contenerci per amore reciproco. E quindi mi è rimasta la scrittura, che costringe a mettere le parole in fila una dopo l’altra, armate di punteggiatura e sintassi, e funziona da tornello di uscita dei pensieri e delle emozioni, ordinatore del caos confuso che avevo in testa. Ho scritto inizialmente di nascosto, ma letteralmente di nascosto, cioè di notte o chiuso in bagno, condividendo gradualmente il mio scritto con la mia famiglia e i miei amici, così come ho raccontato nella premessa del libro. Non è stato facile decidere di pubblicarlo, perché mi rendevo conto che l’argomento era scabroso, e non avrei voluto violare né la sacralità di mia figlia, né la complessità dell’argomento – sopravvivere ad un figlio – che va ben al di là della mia storia personale. Ho pensato però, anche incoraggiato in questo da alcune persone a me vicine, che la lettura complessiva della mia esperienza nell’anno successivo alla morte di mia figlia potesse essere uno spaccato umano di un qualche interesse soprattutto per chi non ha mai affrontato situazioni del genere. Perché vivere in modo più cosciente la fragilità della vita aiuta ad essere felici, credo.
La sua famiglia non è mai stata sola, ha sempre trovato l’abbraccio e il supporto di tante persone che non avete mai rifiutato, non vi siete mai isolati. E’ stato complicato?
Sinceramente no, per nulla. Non abbiamo dovuto fare nessuno sforzo per accettare l’aiuto delle tante mani che ci sono venute in soccorso. So bene che spesso la reazione ad un lutto è l’isolamento, ma a noi non è successo. Anzi, direi che abbiamo avuto paura di rimanere soli. Credo che questo dipenda sia dal carattere mio e di mia moglie, sia dal fatto che l’enorme sorpresa di questa morte improvvisa di una bimba ha veramente travolto moltissime persone, che si sono raccolte intorno a noi per farci e farsi forza. E sono convintissimo che una condivisione reale e non formale da parte delle persone che sono vicine a chi è direttamente colpito dal lutto serva ad alleggerire il peso del dolore. Aiuta chi all’improvviso vede sparire un coniuge, un figlio, a sentirsi ancora vivo e parte di una comunità, a dare un senso alla nuova vita che si deve affrontare. Io e la mia famiglia dobbiamo moltissimo a fratelli, sorelle, parenti ed amici. Quindi non è stato complicato per noi. Al massimo, per loro.
Ha sempre sperato che Sara le inviasse un segno. Poi è arrivato quel messaggio di sua nipote Chiara.
Le devo confessare che sul momento il messaggio di mia nipote, che riportava cose legate a Sara che lei non poteva sapere, mi ha letteralmente sconvolto. Ho veramente pensato che fosse un segno. Nel tempo, sebbene non ci sia nessuna spiegazione al sogno se non un’assurda coincidenza, ho perso baldanza, e non le so più dire se io creda davvero che fosse un segno oppure no. Ho capito che per come sono fatto, crederci totalmente – credere cioè che sia stato un segno mandatomi da un’altra dimensione – vorrebbe dire mentire ad una grossa parte di me. Io sono non credente, anche se sono fortemente desideroso di essere smentito dai fatti e mi muovo in questa nuova vita privo di certezze e attento a tutto, almeno credo. Diciamo che mi piace sperare che quel messaggio sia davvero un segno, ma se esistesse un dopo, un altrove, vorrei dire a mia figlia che sono così sciocco che ho bisogno di messaggi più chiari ed espliciti. Ecco, averlo detto qui magari sarà servito.
La perdita di sua figlia e l’intelligenza di Padre Gennaro l’ha portata a rivalutare il suo essere ateo?
Nella risposta alla domanda precedente c’è di fatto la risposta anche a questa. Ho certamente rivalutato la mia posizione, e ripeto di essere confuso e privo di certezza, ma devo confessare di averlo fatto unicamente per la speranza di avere ancora una possibilità di rapporto con mia figlia. Non riesco ad immaginare perché debba esistere un Dio, e quindi in senso letterale sono decisamente ateo, ma spero ancora in un dopo, un oltre, qualcosa, che però spero possa esistere indipendentemente da un Dio, che a me sembra l’ovvia trasposizione del nostro innato desiderio di immortalità, che potremmo semplicemente chiamare naturale paura del buio eterno. Credo capirà che la mia è una speranza irrazionale – perché è irrazionale, esattamente come quella di chi crede in Dio – alla quale vorrei provare a non rinunciare. Per quanto riguarda il rapporto con Padre Gennaro, devo dire che vediamo le cose da prospettive diverse, ma in modo sorprendentemente simile. E questo mi sembra stupendo. Sarebbe veramente arido confrontarsi solo con chi è completamente allineato sulle nostre posizioni. Parlare con lui mi aiuta a fare luce su parti delle cose che probabilmente rimarrebbero in ombra, dal mio punto di vista. Quindi mi arricchisce.
Sara ha lasciato a tutti una grande eredità grazie all’incipit di un suo racconto in cui si cita Naposole. Ci racconti del progetto: come nasce, su cosa si basa e cosa ha comportato.
Nella breve storia scritta da Sara, Naposole è un luogo di serenità assoluta, dove grandi e piccoli vivono insieme in armonia. Ci è sembrato quasi naturale considerare questa sua aspirazione così bella, così giusta, come una vera e propria eredità morale. Il modo migliore per tenere in vita la nostra bambina cercando di dare il nostro piccolo contributo nella direzione che lei ha indicato, facendolo quindi guardando in avanti in modo costruttivo, senza fermarsi con lo sguardo rivolto all’indietro, prigionieri del passato. Non è un tentativo di fuga dal dolore, ma la volontà di trasformarlo in un motore per una vita diversa. Vivere immobili nella memoria sarebbe uno spreco, sia della nostra vita che della memoria. Naposole adesso è una associazione culturale che sviluppa in proprio o insieme ad altre associazioni progetti rivolti a grandi e piccoli che promuovano il bello attraverso il gioco, il disegno, la musica, vissuti in condivisione. Lo scopo è provare a superare quella che io spesso definisco con uno slogan la nostra disabilità sociale, la barriera di solitudine che circonda noi tutti e si è rafforzata con l’uso dei social, che sono solo un simulacro di relazione con gli altri. Siamo solo all’inizio delle nostre attività, ma già molte persone sono associate e abbiamo avviato parecchie iniziative, come si può vedere visitando la nostra pagina facebook. Ovviamente questo comporta un grande impegno, soprattutto da parte di mia moglie, che è il presidente di Naposole e dedica molto del suo tempo all’associazione. Ma lo fa, lo facciamo, con grande gioia. Sentiamo Sara dentro tutto questo, ed è bellissimo.
Come procede la sua vita e quella della sua famiglia?
Quello che è successo è paragonabile ad un terremoto. Abbiamo traballato tutti, io, mia moglie e i nostri due ragazzi. Abbiamo passato momenti di una difficoltà difficile da esprimere con le parole. Però abbiamo cercato di reagire insieme, e ci siamo serrati l’uno all’altro, probabilmente per un istinto di protezione. Non solo di noi genitori, ma anche dei figli nei nostri confronti. Siamo stati aiutati dalle famiglie e dagli amici, che abbiamo scoperto veri e generosi. Ora viviamo la quotidianità con più consapevolezza e intensità, a me sembra. Nelle gioie e nei dolori. Mi auguro che i ragazzi si sentano arricchiti dalla sorellina, per quello che sono riusciti a fare insieme a lei, più che defraudati per quello che non hanno più potuto fare con lei. E che guardino al futuro con coraggio e serenità, con il meraviglioso sorriso di Sara per sempre nei loro occhi.
Naposole nasce come luogo, in un breve racconto incompleto scritto dalla piccola Sara. E’ un posto bellissimo, pieno di sole e di verde, in cui grandi e piccoli vivono felicemente insieme. Un posto in cui anche i bambini si sentono sicuri e possono camminare da soli, senza la necessità di aggrapparsi continuamente alla mano di un grande; dove si vive bene, in condivisione e nel rispetto di ognuno.
Un’utopia, un’antica utopia, si potrebbe dire con il linguaggio degli adulti. Un ovvio desiderio, con quello dei più piccoli. Quale che sia il modo di definirla, Naposole esprime in modo semplice la speranza di tutti: abitare un luogo che faccia sentire tutti pienamente cittadini e partecipi e – perché no – felici. Niente di più semplice e, purtroppo, di più lontano dalla quotidianità. E allora anche noi vogliamo provare a dare il nostro contributo.
E’ questa l’eredità che i fondatori dell’Associazione Naposole sentono di avere ricevuto dalla piccola Sara. Perciò, l’Associazione nasce con lo scopo principale di promuovere ogni tipo di attività che combatta l’isolamento e incentivi la cittadinanza partecipata, stimolando iniziative di vario tipo che coinvolgano piccoli e grandi. L’Associazione crede infatti che l’esposizione delle persone ad attività condivise e alle varie forme di bellezza esistenti possa contribuire allo sviluppo armonico delle persone, punto di partenza indispensabile per rendere migliore il mondo che ci circonda.
Sono tante le cose che si possono fare in questa direzione. Naposole intende diventare un punto di aggregazione che raccolga idee e iniziative da tutti quelli che ne vorranno diventare soci, o per meglio dire cittadini. Non esiste un unico percorso possibile, e per principio Naposole vuole essere indirizzata da coloro i quali la faranno vivere, da chiunque si voglia unire a noi, con il suo impegno e le sue idee. Non un solo progetto, quindi, ma tutti quelli che decideremo insieme. E’ possibile scrollarci di dosso la pigrizia e mettere le nostre competenze e il nostro entusiasmo al servizio degli altri, anche imparando ed insegnando ai bambini, sul cui aiuto Naposole conta moltissimo. E’ inutile desiderare un mondo migliore se non si prova a realizzarlo, e per farlo non è sufficiente seguire la propria ambizione personale.