Hej alla! Si riparte per il nostro giro letterario europeo, benvenuti in Svezia!
Il panorama letterario svedese ha origini antichissime: possiamo considerare letteratura i piccoli poemi inscritti nelle pietre runiche, pietre funerarie di antica fattura. Il primo testo letterario svedese è il Rökstenen, inciso durante l’Era vichinga nell’800 circa. L’inizio del XX ha prodotto notevoli scrittori, come Selma Lagerlöf (Premio Nobel nel 1909) e Pär Lagerkvist (Premio Nobel nel 1951). In anni recenti un ristretto gruppo di scrittori svedesi si è affermato a livello internazionale, tra questi lo scrittore di polizieschi Henning Mankell e quello di spy story Jan Guillou. L’unico autore però ad avere lasciato un segno nel mondo della letteratura è la scrittrice per bambini Astrid Lindgren, con i suoi libri dedicati a Pippi Calzelunghe.
Per avvicinarsi alla letteratura svedese è importante segnalare Iperborea, casa editrice fondata da Emilia Lodigiani nel 1987 per far conoscere la letteratura dell’area nord-europea in Italia.
Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson di Selma Lagerlöf
Dalla fantasia di Selma Lagerlöf, la prima donna ad aver vinto il Premio Nobel, il classico per l’infanzia più amato nel Nord Europa.
Nils Holgersson è un ragazzino ribelle e dispettoso, sempre pronto a tormentare gli animali della fattoria dove vive con i genitori. Ma il giorno in cui si azzarda a giocare un brutto scherzo a un folletto, si ritrova di colpo piccolo come un topolino. Solo e spaventato, Nils sale sul dorso di Mårten, un papero domestico che sfidando la sua natura si unisce a uno stormo di oche selvatiche nel loro lungo volo migratorio fino in Lapponia. Comincia così il meraviglioso viaggio di Nils attraverso tutta la Svezia, sulle ali del suo papero in cerca di libertà, sotto la guida di Akka, la saggia oca capostormo, e sempre in fuga da Smirre, l’astuta volpe cacciatrice. Ogni tappa è un universo di avventure, incontri e scoperte sulla natura, gli animali, la geografia del paesaggio e la storia dell’uomo, che nel bene e nel male continua a modificarlo, intrecciate a leggende, richiami a un passato mitico e fiabe senza tempo. Tra le magie della natura e della fantasia, Nils imparerà cosa sono l’amicizia, il rispetto per gli altri e per l’ambiente, il coraggio e la solidarietà. Pubblicato nel 1906 dalla scrittrice e maestra elementare che tre anni dopo avrebbe ricevuto il Nobel per la letteratura, ideato come libro didattico per le scuole, Nils Holgersson è diventato il grande classico del Nord per l’infanzia, tradotto in più di quaranta lingue e adattato in film e cartoni animati, amato da generazioni di giovani lettori in tutto il mondo.
Barabba di Pär Lagerkvist
Bandito e assassino, condannato a morte per sedizione e omicidio, scelto dalla folla al posto di Gesù, graziato e rilasciato da Pilato: è tutto quello che sappiamo di Barabba dai Vangeli. Che ne sia stato, poi, di quel primo uomo oggettivamente salvato dalla morte in croce di Cristo, nessuno lo dice. È su quel silenzio che Lagerkvist costruisce il suo capolavoro, il romanzo Barabba, rielaborato tre anni dopo nel dramma qui tradotto per la prima volta in italiano, in forma ancora più emblematica ed essenziale. Dieci scene che, come in un Morality Play, scandiscono le tappe fondamentali della sua vita: l’estraneità all’esistenza passata, l’incontro con Lazzaro tornato dal regno dei morti, con Pietro, dolorosamente pentito di aver rinnegato il Maestro nell’ora estrema, con la donna pronta a farsi sua testimone solo per averlo visto passare, con il compagno Sahak, la cui fede semplice trasfigura anche le tenebre della schiavitù nelle miniere, sono quasi stazioni della sua personale via crucis che lo porta dal Golgota, dove assiste turbato alla fine di quell’innocente che muore al posto suo, fino alla prigione a Roma da cui uscirà per subire lo stesso destino. L’impossibile ricerca della fede in quel «figlio di Dio» che si è lasciato infliggere la morte più infame, di un senso in quella salvezza che ha ricevuto senza averla chiesta, in quel sacrificio che non capisce, in quella legge dell’amore in assurdo contrasto con l’efferata realtà quotidiana, fa di Barabba il simbolo dell’umanità davanti al mistero della redenzione e al richiamo di quel messaggio così rivoluzionario da non essere ancora penetrato, nonostante la sua forza e il suo fascino, nella spietata barbarie della Storia. Uomo dei suoi tempi, testimone che non riesce a vedere, e Ognuno di sempre, insaziabile ricercatore della verità che, se non trova salvezza nella fede, la trova forse nel dubbio.
Il tempo di sua grazia di Eyvind Johnson
È un mondo così vicino e così lontano dal nostro, quello dei longobardi: costumi, intrighi e passioni ci riportano a quella zona d’ombra della storia occidentale in cui lo splendore politico e intellettuale dell’antichità classica si oscura, si contamina, si trasforma in qualcosa di nuovo, dai contorni ancora incerti e mobili. In questo mondo antico e giovane, tempestoso ed eroico, si svolge la vicenda di Iohanniperto Lupigis, nobile longobardo e nipote del dotto diacono Anselmo. Innamorato fin dall’infanzia della bella Angila, Iohanniperto si lascia spingere dall’amore a prendere parte alla disperata rivolta contro Carlo Magno ordita dal padre della fanciulla. Ma il risultato di questo atto di ribellione saranno lunghi anni di separazione e di sofferenza. Solo quando Iohanniperto avrà smesso le vesti dell’ardito guerriero per assumere quelle di raffinato intellettuale alla corte dell’imperatore avrà modo di ritrovare Angila e sottrarla alla sua umiliazione. Romanzo storico accuratamente documentato, credibile e avvincente, Il tempo di Sua Grazia apre a ogni sua pagina nuove prospettive su questioni che hanno interrogato generazioni di lettori: su tutte quella del rapporto sofferto, di opposizione e di identificazione, di avversione e di complicità, che intercorre tra intellettuali e governanti, tra chi gestisce il potere e chi vorrebbe modificarlo, condizionarlo o addirittura abbatterlo. Una lettura che ci trasporta in un passato drammatico senza permetterci di dimenticare la drammaticità del presente.
Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson
«Io non mi chiamo Miriam», dice di colpo un’elegante signora svedese il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant’anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. Così Malika diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra, dove i rom, malgrado tutto, erano ancora perseguitati. Dando voce e corpo a una donna non ebrea che ha vissuto sulla propria pelle l’Olocausto, Majgull Axelsson affronta con rara delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia d’Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom, che osò ribellarsi con ogni mezzo alle SS di Auschwitz. Io non mi chiamo Miriam parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l’«altro» interrogandosi sull’identità – etnica, culturale, ma soprattutto personale – e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all’erta, a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno, a soffocare i ricordi, i rimorsi, il dolore per gli affetti perduti: «Non si può dire tutto! Non se si è della razza sbagliata e si ha vissuto sulla propria pelle l’intero secolo.»
Kallocaina di Karin Boye
Chi non ha mai sognato di possedere il siero della verità e penetrare nel segreto della mente e del cuore degli altri e di se stesso? Quale giudice non lo vorrebbe, quale potere non lo riterrebbe l’ideale strumento di controllo? Kallocaina è appunto il nome del siero della verità che lo scienziato Leo Kall ha inventato per garantire allo Stato sicurezza e stabilità. Ma la verità sfugge alla strumentalizzazione, i suoi effetti sono sconvolgenti, rivelando la complessità dei rapporti umani e portando il germe della disgregazione nel sistema. Scritto nel 1940, quando era difficile nutrire grandi speranze nell’avvenire, Kallocaina ha in comune con Noi di Zamjatin, Il mondo nuovo di Huxley, 1984 di Orwell l’allucinata visione di una società spersonalizzata, dominata da uno Stato poliziesco che arriva a invadere anche la sfera privata dei cittadini sopprimendo ogni libertà. Benché le distopie appaiano spesso ingenue e superate dalle atrocità del reale, le questioni sollevate dal romanzo suonano di allarmante attualità. La continua violazione dei diritti umani, l’uso strumentale della giustizia, la disinvolta interpretazione delle leggi, la delazione eretta ad atto civico, l’acquiescente conformismo fanno parte del nostro panorama quotidiano. Ma l’originalità di Kallocaina, rara voce di donna in questo genere letterario, sta altrove: nella progressiva presa di coscienza del protagonista che verità e ragione, verità e controllo, verità e potere restano inconciliabili, nel suo lento processo di liberazione dal proprio super-io, fino all’accettazione delle esigenze più profonde che aveva negato e soffocato dentro di sé: quel bisogno di amore, di libertà e di fiducia, senza i quali l’esistenza e la persona umana perdono di valore e di significato.
Il medico di corte di Per Olov Enquist
«Tu sei un sentimentale, amico mio, un San Francesco tra i poveri di Altona. Ma ricordati che sei un illuminista. Devi guardare lontano. Oggi, tu vedi solo gli esseri umani davanti a te, ma guarda oltre. Sei una delle menti più brillanti che conosca, e una grande missione ti attende… Potresti applicare le tue teorie nella realtà. Nella realtà.» È così che Johann Friedrich Struensee, giovane medico tedesco, idealista, impregnato di idee illuministe, taciturno e schivo, viene convinto ad accettare l’incarico di medico personale, e poi Primo Ministro, del re di Danimarca Cristiano VII, quel re diciottenne intelligente e sensibile, che scambia lettere con Voltaire, e che una mostruosa educazione conduce volutamente sull’orlo della follia, perché si perpetui il vuoto di potere di cui la Corte ha bisogno per mantenere il proprio. È il 1768: per quattro anni la Danimarca conosce una rivoluzione che anticipa, senza sangue, senza terrore, le conquiste della Rivoluzione francese di vent’anni dopo. Dalla libertà di pensiero, di stampa, di culto, alle più avanzate riforme sociali fino al progetto di eliminazione della servitù della gleba: in seicentotrentadue decreti Struensee, intellettuale ignaro dei giochi della politica, firma la propria rovina, aprendo la strada a quella reazione che Guldberg, pietista assillato dalla missione di salvare la Danimarca dal peccato, non farà che pilotare. Ma è innamorandosi della regina che Struensee decreta la propria condanna. Quella Caroline Mathilde, giunta smarrita quindicenne dalla corte inglese a Copenaghen come sposa del re, che diventa in poco tempo, con la scoperta della passione e dell’eros, una donna libera, viva, conscia del proprio potere e capace di usarlo con lucidità. Una rivoluzione che ha il suo momento magico nella breve felicità di una passione. I meccanismi del potere, il dilemma dell’intellettuale davanti all’azione, il «guardare lontano» senza più riuscire a «vedere vicino», laicismo e fondamentalismo, la forza liberatoria dell’eros e l’ossessione della purezza, la luce della ragione e il suo lato oscuro, la follia e il desiderio: gli ingranaggi della storia riportano sempre in scena lo stesso dramma, ma nella danza della morte in cui sono trascinati i personaggi, resta sospeso nell’aria il suono di un flauto, la musica della libertà e dell’amore, l’ostinato sopravvivere delle idee che non si lasciano decapitare.