Durante la prima fase della pandemia i giornali ed i social network discutevano molto su quale fosse il meccanismo con il quale il SARS-CoV-2 recasse danno all’organismo umano ed in particolare al nostro sistema respiratorio. Fatiscenti medici sembravano aver scoperto e trovato la soluzione nelle microtrombosi polmonari e nell’embolia polmonare, ovviamente i sanitari che erano sul campo e che si sono occupati da subito di COVID-19, hanno da sempre tenuto ben a riguardo il problema ed applicato terapia di profilassi alla maggior parte dei pazienti ricoverati per infezione da Coronavirus. Il problema della polmonite da COVID-19 è molto complesso e non riguarda solo il danno da trombosi polmonare, vediamo invece nello specifico cos’è l’Embolia Polmonare.
Per embolia polmonare definiamo una patologia caratterizzata dall’occlusione delle arterie polmonari e/o dei suoi rami con conseguente compromissione della funzione respiratoria.
L’embolia polmonare colpisce circa 117 persone su 100 000 l’anno e causa fino a 85 000 decessi ogni anno.
Quasi tutti gli emboli polmonari originano da trombi situati a livello delle vene degli arti inferiori o della pelvi. I trombi sviluppatesi nei suddetti distretti venosi, possono distaccarsi e migrare attraverso il circolo venoso sino a giungere al cuore destro. Il cuore destro comunica e porta il sangue al circolo arterioso polmonare, grazie al quale i globuli rossi si liberano dell’anidride carbonica e si ricaricano di ossigeno, infine il circolo polmonare riporta il nuovo sangue ossigenato al cuore sinistro che lo diffonde a tutti i tessuti; questo processo andrà avanti finché vivremo, ma tale circolo continuo può essere alterato dall’arrivo di un ospite indesiderato, nella fattispecie un trombo. Una volta che il trombo partito da una vena periferica raggiunge il cuore destro, può arrivare al circolo polmonare incuneandosi a livello delle arterie polmonari occludendo parzialmente o totalmente uno o più vasi. Le conseguenze che ne possono derivare sono variabili e dipendono da diversi fattori come le dimensioni e il numero degli emboli, la condizione di base dei polmoni, il corretto funzionamento del ventricolo destro, la capacità del sistema trombolitico intrinseco dell’organismo di dissolvere il coagulo.
La sintomatologia può quindi essere molto variabile e può andare da uno stato del tutto asintomatico o paucisintomatico a sintomi più caratteristici come dispnea, tachicardia, dolore pleurico (in presenza di infarto polmonare). In caso di un’embolia polmonare severa con grave sovraccarico del cuore destro possono anche presentarsi severo stato ipotensivo e morte improvvisa.
La diagnosi deve essere effettuata da un medico esperto poiché può presentare diversi fattori confondenti. Un attento esame clinico ed anamnestico con una valutazione dei fattori di rischio per embolia polmonare è un punto cardinale dell’iter diagnostico. Tra i fattori di rischio più comuni ne ricordiamo alcuni come:
- Immobilità
- Recenti interventi ortopedici maggiori
- Pregressa trombosi venosa
- Carcinoma
- Insufficienza cardiaca
- Gravidanza
- Disturbi trombotici
L’utilizzo di esami ematochimici come il D-Dimero è un altro elemento importante ed utile alla diagnosi, mentre esami come troponina ed emogasanalisi (che valuta il grado di compromissione respiratoria) costituiscono degli elementi prognostici di rilievo. Tra gli esami strumentali, d’ausilio possono risultare l’elettrocardiogramma e l’ecocardiografia, ma probabilmente l’esame strumentale più importante e più utilizzato è l’angio-TAC polmonare che permette la ricostruzione del circolo polmonare.
Il trattamento dipende dal grado di severità dell’embolia polmonare, ma un caposaldo è sicuramente la terapia anticoagulante (orale e/o sottocutanea) con associata terapia di supporto in base alle condizioni cliniche. Nelle forme più gravi di embolia polmonare, è indicata la trombo lisi, ovviamente effettuata in reparto ospedaliero specializzato, atto a sciogliere il trombo occludente.
Per quanto riguarda la terapia anticoagulante, in alcune condizioni ed in categorie ad alto rischio di trombosi potrebbe essere applicata una terapia di mantenimento permanente.