Il nostro giro d’Italia oggi sosta in Basilicata al tempo detta anche Lucania. Terra di grande diversità ambientale capace di accogliere turisti di tutti i generi. Le sue Dolomiti sono imponenti e permettono sport adrenalinici come il volo dell’Angelo: un percorso da fare letteralmente sospesi in aria mediante carrucola dove il visitatore potrà provare per qualche minuto l’ebrezza del volo e si lascerà scivolare in una fantastica avventura, godendo della bellezza del paesaggio.
In Basilicata è presente una consistente comunità albanese che difende la propria tipicità grazie alla tutela da parte della regione.
Incredibili ed indimenticabili i Sassi di Matera dichiarati dall’ UNESCO patrimonio dell’umanità: un vero e proprio presepe. Passeggiando per le viuzze si ha l’impressione di aver fatto un salto indietro nel tempo dove tutto sembra congelato a centinaia di anni fa per poi scoprire addirittura, insediamenti del periodo neolitico.
Per gli amanti del mare, Maratea stupirà per la sua bellezza, le sue acque cristalline e le sue insenature da esplorare.
In cucina regna sovrano il peperone crusco, ovvero croccante, la salsiccia lucanica, il caciocavallo podolico, il pane giallo di Matera e l’Aglianico del Vulture riempirà i vostri calici.
Regione un po’ dimenticata dal punto di vista della letteratura, ma qualcosa che veramente vale la pena di leggere c’è.
Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi
“Eboli – dicono i lucani tra cui Levi fu mandato al confino dal fascismo – è l’ultimo paese di cristiani. Cristiano è uguale a uomo. Nei paesi successivi, i nostri, non si vive da cristiani, ma da animali”. Questo famoso libro di Carlo Levi racconta la scoperta di una civiltà, quella dei contadini del Mezzogiorno, fuori della storia, fra antichissima sapienza e paziente dolore. Per il suo carattere classico il lettore può trovarvi insieme una ragione di poesia, un mondo di linguaggio, uno specchio dell’anima e la chiave di realtà sempre presenti.
Come piante tra i sassi di Mariolina Venezia
«Due categorie proprio non sopportava: la gente senza personalità, e quelli che ne avevano una diversa dalla sua». Simpatica o antipatica? Odiosa forse. Scomoda, spudorata, sorprendente. Come la verità, certe volte. È Imma Tataranni, sostituto procuratore a Matera. Anni 43, alta un metro e uno sputo, capelli crespi e gusti improbabili: dorato, serpentato. E tacco 12. Se le signore bene, e sua suocera, la guardano a muso stretto, lei non si dà pensiero. Ma se qualcosa non va la vuole raddrizzare. Scarsa in fantasia e in colpi di genio, punta sulla memoria, facendo tremare i potenti e perseguitando i furbi e i cretini. In una Basilicata arcaica sotto la sua patina di modernità, il caso di un ragazzo morto accoltellato si allarga – per Imma e il bell’appuntato Calogiuri – come la smagliatura di una calza, riportando alla luce un passato sepolto che scombussola le carte del presente.
Verrà il vento e ti parlerà di me di Francesca Barra
L’erba selvatica profuma di salvia e lambisce il sentiero che porta al mare. Teresa è solo una bambina, ma sa già cosa urlare al vento: “Io non me ne voglio andare”. Per nessuna ragione vuole lasciare quella terra di cui conosce ogni particolare: la Basilicata. Ama tutto di quella regione, la magia dei sassi di Matera e il calore della costa. Lì sogna di costruire il suo futuro. E il suo desiderio si è realizzato. Ora invece Caterina, sua nipote, non vede l’ora di lasciare il paesino in cui è cresciuta, dove le tradizioni regnano immutate. Vuole sapere cosa significhi sentirsi straniera, persa in una grande città. Vuole staccarsi dalla sua famiglia che adora, ma che nello stesso tempo è come un albero in cui i singoli rami perdono la loro identità. Quella famiglia il cui punto di riferimento è la nonna Teresa. Sua nonna che ha la sua stessa forza di seguire il proprio istinto. Caterina sa che quello che le unisce è un legame speciale. Cosi quando si trasferisce a Roma la cosa più importante che porta con sé è l’agenda in cui la nonna le ha dettato le sue ricette. In un’estate che la ragazza non dimenticherà mai, le ha insegnato a cucinare mentre i ricordi riaffioravano preziosi: la sua infanzia, il suo amore per don Mimi, il suo dono segreto di prevedere il futuro, l’attaccamento alla sua terra. E Caterina inizia a guardare la sua vita con occhi nuovi.
Il rinnegato di Giuseppe Brancale
L’unità d’Italia vista con gli occhi di Giuseppe Prestone, garibaldino e sognatore. Da Migalli, paese lucano di settemila anime, egli tenta la fortuna con la moglie in Argentina, adotta il piccolo orfano Antonio Bonturino e, dopo la morte della consorte, torna al paese natale, “dove l’Africa gli pare più vicina che Roma”. Spesso in carcere per i suoi tentativi di risvegliare i compaesani dall’oppressione, riuscirà nonostante le delusioni a non perdere la dimensione del sogno e a trasmetterla misteriosamente agli altri. Tra ironia e tragedie, Migalli attende. L’autore presenta il periodo storico dell’Unità di Italia (1861) con tutte le sue contraddizioni e difficoltà, ma soprattutto il quadro sociale di quel Sud unito a un Nord totalmente differente da cui subisce più angherie che benefici. Alla morte di Cavour, la Destra comincia a combattere fortemente il brigantaggio senza curarsi di affrontare la sua causa di fondo, cioè la disperata ribellione di popolazioni contadine contro uno Stato che si distingue dal precedente soltanto per una maggiore pressione fiscale e l’obbligo della leva militare.
L’ultima sposa di Palmira di Giuseppe Lupo
23 novembre 1980: il terremoto colpisce la Basilicata e la Campania, provocando migliaia di morti, dispersi e senzatetto. Un’antropologa milanese si precipita a Palmira, minuscolo centro dell’Appennino che ha la particolarità di non figurare sulle carte geografiche. Trova strade e ferrovie interrotte, dighe e ponti crollati, abitazioni rase al suolo, famiglie distrutte. Solo una falegnameria è rimasta in piedi e dentro, notte e giorno, mastro Gerusalemme fabbrica il mobilio per una sposa, l’ultima del paese. Sulle ante sta disegnando le leggende che si tramandano negli anni: misteriose profezie di gente senza tempo e memoria, miracoli di un luogo favoloso dove convivono cristiani, ebrei, musulmani. I pannelli dei mobili sono l’unica testimonianza che Palmira sia esistita veramente, e in essi si compie il destino di ogni uomo. Fra l’antropologa e il falegname inizia un dialogo di sguardi sfuggenti e parole arcane, un viaggio alla ricerca dell’ultima sposa, un’avventura nei segreti di questa comunità, dalla remota fondazione di Patriarca Maggiore all’apocalisse del terremoto che ha trasformato il paese in un immenso presepe di morti. Grazie a una lingua modulata sull’affabulazione dei sogni e a un gioco di incastro fra epica orale, mito e cronaca, con questo fantasioso romanzo Giuseppe Lupo celebra un evento che fa da spartiacque nella recente storia del Mezzogiorno segnando la fine di una civiltà: nel raccontare uno spaccato di mondo che somiglia a un’originale Spoon River, dove si affrontano i grandi archetipi della vita e della morte, della maternità e della solitudine, della speranza e dell’utopia, continua a parlarci di un Sud immaginario e si conferma narratore antropologico e visionario.