Ho già parlato in passato di come i videogiochi tendano sempre meno ad essere prodotti a sé stanti (e quindi duraturi), mirando sempre di più non tanto ad uscire come dei videogiochi fatti e finiti, quanto più, alla pubblicazione perlomeno, ad essere delle basi per futuri DLC (contenuti scaricabili), preferibilmente a pagamento. Ho anche già analizzato come i suddetti videogiochi abbiano incredibilmente ridotto il proprio ciclo vitale (basti citare i vari Call of Duty, o anche gli Assassin’s Creed) per puntare a piccole innovazioni apportate annualmente, non però sottoforma di contenuti scaricabili sul vecchio giochi, bensì come giochi “del tutto” nuovi. Ho già espresso il mio parere a riguardo e l’ultima cosa che voglio fare e ripetermi.
Quello che vorrei fare in questa sede non è infatti criticare le tendenze del mercato videoludico contemporaneo; affatto. Vorrei altresì parlarvi di un videogame che ha deciso di seguire una strada totalmente opposta rispetto a quella “principale”. Il gioco in questione è l’ultimo capitolo della saga storica di sparatutto tattici in prima persona Tom Clancy’s Rainbow Six: Siege.
Il gioco è stato pubblicato da Ubisoft nel dicembre del 2015, e, a dirla tutta, non ebbe molto successo. I giocatori non erano molti e tecnicamente il gioco non era granché: i bug erano numerosi, la grafica non era eccelsa. Insomma, un mezzo flop. E i primi sei mesi di vita di Siege sono stati più o meno così. Di solito a questo punto (di questi tempi) le case produttrici decidono di abbandonare il prodotto fallimentare. Eppure Ubisoft, sarà per l’investimento, sarà per la storia del franchise, decise di non abbandonare Siege. E così il successivo anno di vita fu caratterizzato da una serie di aggiornamenti mirati a risolvere i vari bug e a migliorare esteticamente il gioco.
Da giocatore piuttosto assiduo del titolo in questione vi posso dire che gli aggiornamenti stanno continuando (il prossimo aggiornamento dovrebbe essere verso settembre, con l’operazione Grim Sky) ogni 3/4 mesi e i miglioramenti sono lampanti.
Insomma, tutto questo pezzo l’ho scritto per dimostrare che, nonostante le tendenze del mercato videoludico odierno, fare tanti giochi in poco tempo non sempre è la scelta giusta. Forse sarebbe meglio per tutti (sia per i produttori che per noi consumatori) concentrarsi su di un titolo per volta, cercando di non far diventare quella dei videogiochi un’industria che cerca di solo di produrre grandi quantità in poco tempo.