Turno infrasettimanale per la Serie A, ed impegno cruciale per il Napoli dopo il pareggio agrodolce con la capolista Inter, venuta al “Maradona” con il chiaro intento di portare via un punto.
Gli azzurri, ancora una volta troppo timorosi nei confronti dei più blasonati avversari, non hanno sfruttato il clamoroso autogol di Handanovic che aveva permesso loro di chiudere in vantaggio il primo tempo.
La squadra di Conte ha accelerato alla ricerca del pareggio, e lo ha trovato a inizio ripresa con un gran sinistro di Eriksen dopo averlo sfiorato poco prima dell’intervallo, dimostrando di poter mettere in difficoltà gli azzurri ogni volta che decidesse di affondare il colpo.
Chi si aspettava un finale coraggioso da parte di Insigne e soci, visto che un punto serviva a poco, è rimasto deluso: il Napoli ha continuato a giocare al piccolo trotto, seguendo evidentemente le indicazioni del proprio tecnico, che ha corroborato questa sensazione con cambi tardivi (Mertens per un nullo Osimhen al 74′) e conservativi (Hysaj e Bakayoko inseriti nel finale).
Con l’Atalanta, che ha vinto lo scontro diretto con la Juve, scappata a 4 punti, con il Milan a +6 dopo la vittoria sul Genoa, e con i soli bianconeri a contatto (due le lunghezze di distanza), assume dunque enorme importanza lo scontro diretto di domani (ore 20:45) al “Maradona” contro la Lazio, che insegue gli azzurri ed ha la partita contro il Torino ancora da recuperare.
Gattuso, per via degli impegni ravvicinati, cambierà sicuramente qualcosa, senza snaturare però troppo la squadra vista nelle ultime uscite: confermatissima la coppia centrale Manolas – Koulibaly, col greco finalmente tornato ai suoi livelli, in difesa si prospetta la sola, consueta staffetta Hysaj – Mario Rui.
Cambio obbligato a centrocampo, con Bakayoko al fianco di Fabiàn in luogo dello squalificato Demme, mentre in attacco Lozano e Mertens dovrebbero partire dall’inizio, con Politano ed Osimhem pronti a subentrare.
Il bilancio dei 65 precedenti in serie A giocati a Napoli arride nettamente agli azzurri, vincenti in 32 occasioni e sconfitti solo 10 volte, con 23 pareggi.
L’ultima sfida ha chiuso lo scorso campionato: il 1 Agosto 2020 gli azzurri si sono imposti per 3-1, con i gol di Fabiàn, Insigne e Politano, ma il gol di Immobile consentì al bomber laziale di eguagliare il record di marcature in una stagione, stabilito da Higuain con la maglia del Napoli nel 2016.
Grande ex della sfida il portiere biancoceleste Pepe Reina, protagonista di 4 indimenticabili stagioni in maglia azzurra tra il 2013 ed il 2016, durante le quali contribuì alla vittoria di una Coppa Italia, a tre qualificazioni in Champions ed al record di punti del club, 91, che non portò allo scudetto per motivi non solo legati al campo.
L’avvincente corsa per la qualificazione alla Champions League di queste settimane, nelle ultime surreali 48 ore sembrava destinata a svuotarsi di valore e significato: l’intero mondo del calcio europeo è stato infatti scosso dalla nascita della nuova “European SuperLeague”, annunciata nella notte tra domenica e lunedì dai 12 club fondatori, le sei big del campionato inglese (Liverpool, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Manchester City e Manchester United), le tre nobili spagnole (Real Madrid, Atletico Madrid e Barcellona) e le tre grandi della serie A (Milan Inter e Juventus).
Questo progetto, fortemente voluto dal presidente del Real Madrid Florentino Perez e dal numero 1 bianconero Andrea Agnelli, è nato con lo scopo dichiarato di aumentare i profitti di questi top club, i cui debiti hanno raggiunto livelli spaventosi durante la pandemia.
A far discutere sin da subito è stata la formula proposta: un torneo da 20 squadre, di cui 15 fisse e solo 5 qualificate (con criteri tutti da stabilire) dai tornei nazionali.
Alla ovvia e veemente reazione contraria dei tifosi si è aggiunta quella, violentissima, della governance calcistica europea, guidata dalla UEFA e costituita da tutte le federazioni e le leghe dei principali paesi del vecchio continente, visto che la SuperLega si è proposta come torneo alternativo alla Champions League, organizzato e gestito totalmente dai club.
Il presidente della Federazione Europea Ceferin, imitato dai vari omologhi nazionali, ha infatti minacciato gli “scissionisti” di sanzioni, esclusioni dai tornei nazionali e persino dalla Champions in corso di svolgimento.
Le squadre fondatrici di questo torneo probabilmente non si aspettavano un malcontento tanto compatto, e soprattutto non avevano previsto una presa di posizione forte anche da parte della politica: i vari Boris Johnson, Draghi, Macron e Merkel hanno bocciato senza appello l’ambizioso progetto di Agnelli e dei suoi compari.
Persino i tesserati, oltre che i supporters, delle squadre fondatrici hanno espresso il loro netto dissenso, in nome della meritocrazia e del diritto di ogni squadra e di ogni tifoso di cullare il sogno di sfidare, un giorno, il Real al Bernabeu o il Manchester ad Old Trafford.
Lo tsunami contrario sembra aver avuto effetti immediati, visto che nella notte di ieri i club si sono riuniti in una conference call di urgenza per discutere il destino della SuperLega dopo neanche 2 giorni di vita: per ora è ufficiale l’addio alla competizione da parte di tutte le squadre inglesi, ma ulteriori defezioni a stretto giro non sono da escludere.
Al di là di quale sarà il percorso di questo progetto, e dei motivi etici che lo hanno fatto apparire sin da subito un obbrobrio, sono molte le perplessità che restano riguardo alla gestione del mondo del calcio.
La UEFA stavolta ha cavalcato, anche giustamente, i sentimenti dei tifosi, ma Ceferin e i suoi predecessori hanno fatto pochissimo negli ultimi 20 anni per impedire che la forbice tra i top club ed il resto del movimento si allargasse a dismisura, riducendo di fatto comunque ad utopia i sogni dei tifosi delle squadre minori di competere con i top club.
Le istituzioni calcistiche hanno soprattutto consentito che questa forbice si allargasse per effetto di un indebitamento assurdo delle squadre più forti, che hanno “drogato” il mercato, strapagando i giocatori migliori e riempiendoli di soldi senza averne le possibilità.
Il calcio è stato lasciato in mano a manager ed agenti incompetenti ed improvvisati, che hanno infine provato a risolvere i loro problemi aumentando i ricavi con quella che, oggettivamente, appare come una pezza a colori destinata a strapparsi in pochi anni.
Se oggi infatti JP Morgan si era detta disposta a finanziare la SuperLega in nome dell’appeal che ogni sfida avrebbe potuto regalare, siamo sicuri che tra 5 anni sponsor e tv sarebbero stati pronti a investire sull’ennesimo Real Madrid-Liverpool uguale a sé stesso? Se l’evento diventa abitudine, vale molto meno, e ci si può anche stufare di mangiare caviale tutti i giorni, rinunciando sempre a una bella pizza.
Ha dunque ragione Rummenigge, ex fuoriclasse dell’Inter, oggi dirigente del virtuoso Bayern Monaco (che dall’alto del suo florido bilancio ha potuto snobbare la SuperLega), quando dice che questo “fantatorneo” non risolverebbe i problemi economici dei club: è tutto il sistema che va ripensato in modo “sostenibile”, sulla scia di quanto il mondo si sta proponendo di fare in campo energetico ed ambientale, specie in tempo di pandemia.
E’ questa l’unica “rivoluzione” giusta ed auspicabile, per far sì che il calcio si riavvicini davvero ai suoi veri proprietari, quei tifosi che hanno il diritto di continuare a sognare ed a vivere le emozioni che lo sport più bello e popolare del mondo è ancora in grado di regalare.