Trentasei tavole di medio formato, incisioni su gesso, carboncino e olio su tavola, divise in tre gruppi collocati in punti diversi della sala, ogni opera racconta un’emozione, un gesto, una pausa, un momento vissuto. Complementare e illuminante è il paesaggio sonoro, in cui i suoni, racconti, voci e un antico canto sono una componente fondamentale del percorso espositivo: la trasposizione uditiva di intense emozioni, di esperienza e consapevolezza. “Parteno ‘e Bastiménte” è il titolo della bipersonale di Stefania Raimondi e Angela Colonna allestita nella Sala delle Carceri di Castel dell’Ovo a Napoli, curata da Chiara Reale, fino 5 gennaio 2020. Un allestimento site specific in cui le griglie su cui sono fissate le singole opere dell’artista Raimondi, si integrano con le grate dei finestroni della struttura ospitante, in un perfetto equilibrio tra “contenuto” e “contenitore”. Questa alternanza di vuoti e di pieni delle intelaiature, esalta il virtuosismo stilistico dei lavori esposti. Fra queste pareti riecheggia la Storia, quella dei libri del filosofo Tommaso Campanella che in questo luogo venne rinchiuso. Egli trascorse 27 anni di reclusione a Napoli. Durante la prigionia scrisse le sue opere più importanti: “La Monarchia di Spagna” (1600), “Aforismi Politici” (1601), “Atheismus triumphatus” (1605-1607), “Quod reminiscetur” (1606?), Metaphysica (1609-1623), Theologia (1613-1624), e la sua opera più famosa, “ La città del Sole”(1602), in cui vagheggiava l’instaurazione di una felice e pacifica repubblica universale retta su principi di giustizia naturale.
Dalla filosofia all’arte il passo è breve. Il titolo dell’exihibit, (Parteno ‘e Bastimente), è dedicato al tema del viaggio, ai tantissimi emigranti partenopei che partivano dal porto di Napoli; una affermazione che allude ai sentimenti che questi provavano allontanandosi dalla terraferma, fissando il pittoresco panorama del borgo di Santa Lucia, ultimo scorcio della loro terra che riuscivano a vedere, sempre più piccolo, all’orizzonte. L’isolotto di Megaride su cui sorge il castello, è un luogo di approdo e di transito, ed è il posto in cui la Sirena Partenope venne sepolta. Questo microcosmo racchiude storie di diversa natura: mitologia e leggenda, storia degli stranieri e dei migranti, e anche della gente comune. Persone che hanno avuto un contatto con la città di Napoli, in cui hanno vissuto o che ci sono rimaste solo un giorno. Le opere delle due artiste esprimono conoscenza, esperienza e consapevolezza. Sono immagini che affiorano, incise su gessi, legni e cartoni, in perfetta osmosi con le musiche antiche, sovrapposizioni idiomatiche e rumori del quotidiano che si sentono in sottofondo. Il sonoro dà voce alle immagini e ne esprime tutta l’essenza.
Percorrendo le sale della mostra ci si imbatte in una serie di dipinti esistenzialisti che indagano con acume la profondità dell’anima. Sono lavori realizzati per sottrazione: corpi privati della muscolatura o accennata, un processo di scarnificazione in cui emerge l’essenza e l’anima. La superficie dei volti non è liscia, ma sempre corrosa, divorata dal vuoto del suo spazio. Le venature delle tavole di legno diventano segni, rughe, esperienza e consapevolezza. Figure fragili, inermi e indifese, procedono verso un futuro incerto. L’isolotto di Megaride è una zattera in mezzo al mare che ospita dei naufraghi, gli stessi della “Zattera della Medusa” di Théodore Géricault, caratterizzati dai colori fangosi e scuri, segnati dal lungo viaggio, dalle intemperie e dallo scorrere del tempo. Sono esili figure come ramoscelli, in pose naturali e con volti malinconici, solitarie e anonime: è dunque, come direbbe il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre: “sempre a mezza via fra l’essere e il non essere“.
L’installazione sonora di Angela Colonna, invece, oltre a dare “voce” alle opere della Raimondi, restituisce un soundscape di Napoli che si differenzia dalle altre città europee, che non riguarda solo l’inquinamento e il traffico cittadino. La composizione field recordings, le registrazioni effettuate sul campo, rumori ambientali, schiamazzi di ragazzini e musiche e canti, sono l’evidenza di tradizioni che resistono allo scorrere del tempo e che si riferisce non solo a Napoli, ma in generale ai popoli del Sud. Questa “stratificazione collettiva” è formata da tre elementi: quella architettonica di Castel dell’Ovo, quella pittorica della Raimondi e quella sonora della Colonna. Una perfetta sintesi in cui immergersi, vivere ed emozionarsi.