–E tu in cosa credi, cosa speri?–
–Io?– poi qualche interminabile secondo di silenzio, mentre le dita gli si ficcano nel naso fino alle nocche, lo sguardo perso. –Nulla.–
Vent’anni, forse poco meno. Jeans attillatissimi completamente stracciati, canotta bianca, sulle spalle un chiodo di pelle nera ricoperto di spille e borchie, anfibi chiodati. Ha il colorito di uno vicino ad essere cadavere ed un’incredibile cresta viola che gli si mantiene in testa per chissà quale miracolo della fisica.
Ho trovato Londra, la città che preferisco, profondamente cambiata. Eppure non più tardi di cinque o sei anni fa anche qui trionfavano i colori dell’utopia hippie, sotto le insegne di pace e amore. Solo cinque o sei anni fa si pensava possibile un mondo migliore, magari con la fantasia al potere. Solo cinque o sei anni fa John Lennon cantava Imagine.
Ma adesso che gli anni ’70 hanno effettuato il giro di boa per entrare nella seconda metà, sono pochi quelli che ci credono ancora e, paradossalmente, non sono i giovani. Si perchè anche il rock, con le sue grandi narrazioni di un mondo perfetto, è ormai roba da vecchi. Vecchi e pure traditori, che “protestano” fintamente contro un sistema di cui fanno pienamente parte, con le loro megaproduzioni e affogati nei quattrini sborsati dalle super case discografiche. Il rock: nulla di più che satira di regime completamente ammansita. E allora fanculo Lennon, fanculo il progressive dei nerd benestanti che possono permettersi corsi di studio completi, fanculo le visioni dei Pink Floyd e fanculo quell’effeminato di Freddie Mercury con le sue tutine e le scarpette da ballo. Hanno tutti mentito, qua non c’è nulla da sperare.
Sembra che Londra abbia riacquisito il suo tipico grigiore, amplificato da disoccupazione e recessione, ma soprattutto disillusione. E sembra anche che dietro la diffusione di una certa subcultura, che qualcuno sta iniziando a definire Punk, ci siano un personaggio e un luogo precisi.
“SEX” è una scritta enorme di colore rosa shocking posta come insegna del negozio di Malcom McLaren e della sua compagna Vivienne Westwood al 430 di King’s Road nel quartiere di Chelsea.
Vivienne è una stilista che da qualche anno crea e confeziona vestiti in stile “teddy boy” (teppistello) che riscuotono un enorme successo. È il suo compagno però, che fiuta il grande affare dietro i malesseri esistenziali della gioventù londinese.
Malcom è appena tornato da un viaggio a New York e ha tastato con mano ciò che sta succedendo in ambito sociale e musicale. Il rock sta tentando un ritorno alle origini più stradaiole e meno artefatte. Ci vuole un messaggio diretto, semplice e breve. E per affermarlo ci vogliono azioni assurde e provocatorie. Ecco perchè, dopo aver tentato una strada del genere con il gruppo americano dei New York Dolls, è tornato in Inghilterra con l’idea di arricchire la proposta del suo negozio di abbigliamento con capi in stile bondage e fetish. Non è tutto, Malcom voleva trovare una band che incarnasse i nuovi “non ideali” giovanili, metterla su un palco ed esserne il manager.
Non nasconde la soddisfazione quando mi racconta che ci è riuscito e qualora volessi, proprio stasera, potrei vedere coi miei occhi e ascoltare con le mie orecchie cosa ha creato.
Sono le otto di sera in punto del 6 novembre 1975, quando arrivo all’ingresso della sala concerti del St. Martin’s College Of Art, il fermento sembra grande.
Johnny Rotten, Paul Cook, Steve Jones e Glen Matlock stanno per salire sul palco per la prima volta e i responsabili dell’austero college non ne sembrano per nulla entusiasti.
Parte il concerto e mi rendo subito conto che questi non sono neppure lontanamente professionisti. Rotten se ne frega dell’intonazione vocale, il suo è piuttosto un urlo di rabbia, la batteria tratta allo stesso modo tutte le regole del tempo musicale. I brani sono brevi, veloci, aggressivi e di una semplicità armonica disarmante, ridotta all’osso. Il volume è talmente forte che a tratti è insopportabile anche per me. Nella sala è il trambusto, col pubblico che ondeggia come nei disordini di un tumulto.
Dieci minuti, non di più. Tanto dura il primo concerto dei Sex Pistols, perchè tanto è bastato ad una segretaria del college per sentirsi in dovere di precipitarsi dietro al palco e staccare la spina all’alimentazione dell’impianto.
“Voi siete una banda di pazzi”, tuona. “Andate subito fuori di qui!”.
Un fallimento, penserete. Eppure Malcom McLaren mi fissa soddisfatto mentre si sfrega le mani.
E ha ragione, tra un anno la band lancerà Anarchy In The UK.
Diventerà il manifesto del Punk britannico. Il rock non sarà più la stesso dopo l’onda dei Punk.