Il 26 giugno è morto, all’età di 99 anni, lo scrittore Raffaele La Capria. Vincitore, tra l’altro del premio Strega nel 1962 con il suo capolavoro ‘Ferito a Morte’, denuncia del malgoverno partenopeo.
Fin dal 1990, quando è succeduto ad Alberto Moravia, Raffaele La Capria ha presieduto la giuria del Premio Malaparte, il riconoscimento che ogni anno viene consegnato a Capri a uno scrittore internazionale. “Una carica – dice Gabriella Buontempo, anima del Premio – che fino all’ultimo ha seguito con la passione che metteva nelle iniziative cui teneva di più; del resto il Malaparte, con la sua commistione tra grande letteratura, impegno civile e amore per Capri, gli corrispondeva al 100%”.
La Capria verrà sepolto, “per sua volontà, sull’isola di Capri” cui era molto legato. Riposerà, fa sapere la famiglia, “nel Cimitero degli artisti, accanto alla moglie Ilaria Occhini”.
Il fallimento della consapevolezza
“Io sono nato nel 1922 a Napoli, in una città che ha molti volti e che recita sé stessa; dove è ambigua, come in ogni recita, la linea di demarcazione tra vero e falso”: da qui prende le mosse questo viaggio a ritroso nel tempo. Con la leggerezza e la lucidità che lo contraddistinguono, La Capria accompagna il lettore alle origini della sua vita di scrittore, rievocando gli anni della formazione, la lotta ingaggiata per emanciparsi dagli stereotipi culturali imposti dalla città, l’insegnamento decisivo di Croce e la scoperta euforizzante di scrittori quali Proust, Musil, Kafka, Joyce, Faulkner, le cui tecniche compositive saranno d’ispirazione per i suoi futuri romanzi, su tutti Ferito a morte . Analizzando retrospettivamente la sua produzione, La Capria fa dono al lettore delle proprie idee sulla letteratura e sulla sua città, perché Il fallimento della consapevolezza è anche un libro su Napoli: ogni dettaglio che lo compone non fa che rendere saliente il controverso rapporto che lo scrittore intrattiene con essa. “In tutti i libri che ho scritto” ci ricorda, “c’è sempre questo dissidio, questo ‘poetico litigio’, tra me e la città, e il desiderio di svelarne l’anima nascosta, di ripensarla in modo da renderla presentabile, non con un maquillage superficiale, ma con una riscoperta della sua identità.” A completare questa raccolta, alcune lettere inedite tornate in possesso dell’autore il giorno del suo novantatreesimo compleanno: le scrisse tra il febbraio e il maggio del ’43, mentre era militare a Caserta, a Peppino Patroni Griffi. La Capria stesso, nel presentarle, è sorpreso dai sentimenti che a quel tempo lo dominavano. Scopriamo un ragazzo di buona famiglia inerme e ingenuo sopraffatto dalla durezza della vita militare e dal terrore di vedersi abbandonato dall’amico più caro, in un’epoca di grande incertezza, che di lì a poco si sarebbe conclusa con la fine della guerra. Attraverso la forma del memoriale, La Capria esplora il confine sottile tra verità e trasfigurazione narrativa, e dimostra che anche raccontando personaggi reali ed eventi realmente accaduti uno scrittore puro non può fare a meno di produrre letteratura.
La nostalgia della bellezza
Si può parlare di “bellezza”, in un tempo come il nostro così poco propizio alla contemplazione e così indaffarato in guerre e massacri? La bellezza è roba da esteti, da privilegiati in grado di apprezzarla e godersela – dicono -, non è democratica. “Se si parla di Bellezza si è subito sospettati di kitsch” lo diceva un artista come Balthus. Oggi nessuno sa cos’è la bellezza, e prevale l’opinione corriva e corrente che “è bello quel che piace”. Sì, certo, non è facile definire a parole cos’è la bellezza, da quando gli dèi son diventati idee e concetti, metafore e simboli, e non si rivelano più come epifanie. Ma che c’è, distribuita in modi multiformi, sofisticati o mercificati, è senso comune. E che scoprire “quel che piace” sia non proprio così semplice, e in molti casi richieda un senso non comune, su questo non c’è dubbio. “Beauty is difficult”. Guardare un’opera d’arte dovrebbe essere una specie di innamoramento, e ci si può innamorare in tanti modi; di un amore intellettuale, sensuale, platonico, cerebrale, contemplativo, eccetera dunque non escludo che anche “capire” può essere una specie di amore. Ma amore dev’essere. E l’amore, anche quello fisico, non vuole troppi pensieri.
Capri: l’isola il cui nome è iscritto nel mio
Attraverso i racconti del decano degli scrittori italiani come è Raffaele La Capria e le magiche fotografie del fotografo genovese Lorenzo Capellini riscopriamo Capri, quell’isola già narrata dallo stesso La Capria in un suo precedente libro “Capri e non più Capri”. Le bellissime immagini si uniscono alla poesia degli scritti di Raffaele La Capria per rivelare un mondo di mare e di rocce che insieme alla forza della natura unisce quella dei sentimenti che hanno ispirato lo scrittore napoletano per questa nuova e delicata pubblicazione. Il libro esce nella collana dedicata ai profili dei grandi scrittori italiani, nella quale è già edito il libro su Goffredo Parise “Il Veneto Barbaro di muschi e nebbie” e nella quale seguiranno altri titoli di altrettanto valore.
Napoli
In questo volume sono raccolti tre libri dedicati da Raffaele La Capria a Napoli: L’armonia perduta, del 1986, un’analisi del rapporto sempre ambiguo e sfaccettato tra lo scrittore e la sua città; L’occhio di Napoli, del 1994, una sorta di taccuino, un piccolo zibaldone di pensieri; infine Napolitan graffiti, del 1998, una commossa rievocazione degli intellettuali napoletani con i quali l’autore ha intrattenuto rapporti professionali, colloqui culturali e legami d’amicizia profonda.
Interviste con alieni
Quattro interviste impossibili ad altrettanti alieni, che abitano epoche e paesi diversi; alieni perché refrattari alle nostre categorie e alla nostra mentalità. Raffaele La Capria ci offre la propria visione del mondo – scettica e incantata – attraverso le parole dei suoi interlocutori e indica una possibile arte del vivere fondata su stupore, curiosità e “ordine” della scrittura. I suoi alieni sembrano interrogare, anche senza volerlo, la nostra smarrita contemporaneità: Faulkner crede, nonostante il proprio fatalismo di uomo del Sud, nell’indistruttibilità dell’essere umano e ci invita a usare creativamente il fallimento; Tacito, preoccupato dalla nuova “setta” cristiana, (“piccola banda di fanatici”), si ostina a sperare nelle virtù romane e nei nobili esempi; il Principe di Sansevero, metà geniale inventore e metà divertito ciarlatano, riannoda i fili che collegano la scienza e il fantastico; infine l’Extraterrestre, precipitato in un universo inconoscibile, elogia il racconto come unica difesa dal caos.
Lo stile si adatta mimeticamente a ogni interlocutore, intrecciando eleganza e semplicità. Dentro lo sguardo eccentrico degli alieni, reinventato da un grande maestro della narrazione come La Capria, si rispecchia la nostra epoca.
Ferito a Morte
La vicenda narrata in Ferito a morte si svolge nell’arco di circa undici anni, dall’estate del 1943, quando, durante un bombardamento, il protagonista Massimo De Luca incontra Carla Boursier, fino al giorno della sua partenza per Roma, all’inizio dell’estate del 1954. Tra questi due momenti il racconto procede per frammenti e flash, ognuno presente e ricordato, ognuno riferito a un anno diverso, anche se tutti sembrano racchiusi, come per incanto, nello spazio di un solo mattino: la pesca subacquea, la noia al Circolo Nautico, il pranzo a casa De Luca Negli ultimi tre capitoli vi è poi come una sintesi di tutti i successivi viaggi di Massimo a Napoli, disincantati ritorni nella città che «ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutt’e due le cose insieme»; nella città che si identifica con l’irraggiungibile Carla, con il mare, con i miti della giovinezza. Se, come ha scritto E.M. Forster, «il banco finale di prova di un romanzo sarà l’affetto che per esso provano i lettori», quella prova Ferito a morte l’ha brillantemente superata: libro definito dal suo stesso autore «non facile», cult per molti critici e scrittori, è stato ed è anche un libro popolare, amato e letto, con grande adesione sentimentale, da lettori che poco sapevano di questioni letterarie, ma vi ritrovavano la loro stessa nostalgia per un paradiso perduto e per una «giornata perfetta». Un libro, insomma, di iniziazione, di rivelazione e di scoperta dal valore universale.