Addio a Stan Lee, pioniere dell’universo supereroistico americano, e creatore del concetto di “super eroe con superproblemi“. Lunedì 12 novembre, all’età di 95 anni Stanley Lieber si è spento al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, dove era stato trasportato d’urgenza in seguito a un malore. Il fumettista, editore e produttore statunitense soffriva da tempo di alcuni disturbi, ma questo non gli impedito di partecipare con i suoi famosi cammei ai cinecomics dei personaggi della sua casa editrice.
Si può dire infatti che la Marvel Comics fosse sua, almeno idealmente. Fu Lee a trasformarla dalla semplice erede della piccola Timely, alla casa madre di eroi come I Fantastici 4, Spider Man, Hulk, gli X Men o gli Avengers, gettando i semi di una rivoluzione nel modo di pensare, percepire e scrivere il mito post-moderno del super eroe. Non uomini perfetti e infallibili, relegati in un universo lontano, Lee pensò i super esseri come persone concrete e umanissime, che si muovono per le strade di un mondo molto simile al nostro, assillati dai problemi della quotidianità resi ancor più grandi dai loro poteri.
Quasi sessant’anni dopo le sue creature hanno conquistato il cinema, entrando definitivamente nell’immaginario collettivo anche di chi i fumetti non li ha mai letti (e non sa cosa si perde). Stan Lee ha accompagnato generazioni di lettori e scrittori, sempre presente, con la risata che gli è valsa il titolo (forse anche auto-imposto sulle pagine dei fumetti) di “The Smiling”, senza mai fermarsi. Negli ultimi anni ad esempio, si era avvicinato al mondo del manga, fornendo l’idea a Hiroyuki Takei per la miniserie Ultimo. Ma aveva partecipato anche a numerosi documentari a tema fumettistico, non ultimo il divertente e scanzonato Stan Lee’s Real Superheroes, in onda su History dal 2010 al 2014, in cui era alla ricerca di “persone dotate di veri superpoteri”.
Eccessivo, divertente, ubiquo, sopra le righe. E soprattutto il volto forse più noto del fumetto mondiale. A lui dobbiamo una grande fetta del nostro immaginario collettivo popolare, e forse anche la consapevolezza che anche i più grandi eroi ogni tanto possono fallire. L’importante è che continui ad esserci qualcuno che ci racconti le loro storie.