Disegnatore spagnolo, tra i più prolifici e rappresentativi degli ultimi vent’anni, Juan José RYP (Rodríguez y Prieto) inizia la sua carriera in patria su riviste come Comics Anthology. In seguito collabora con Avatar Press su titoli di spicco come Black Summer in collaborazione con Warren Ellis, Magic Words con Alan Moore e Robocop di Frank Miller. Per Marvel ha lavorato su titoli come Moon Knight e Wolverine: The Best There Is. Per Image diventa il disegnatore ufficiale della testata Clone. Da anni in forza nella casa editrice Valiant, per la quale disegna titoli come Ninjak e Britannia portati nel nostro paese da Edizioni Star Comics. Lo abbiamo incontrato al Napoli Comicon di quest’anno, ospite proprio dello stand Star Comics e ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda. Dalle sue risposte è nata la divertente intervista che state per leggere.
Cominciamo dall’inizio: come è nata la passione per il disegno, e quando ti sei accorto che sarebbe diventato il tuo lavoro?
Juan José RYP: Ce l’ho da sempre, da quando ero bambino. Mio fratello maggiore, che è scultore, portava a casa i primi fumetti, e non ricordo un solo giorno della mia vita senza di loro. Come diventò un lavoro? Per pura casualità. Sai in Spagna è difficile iniziare perché non c è un grande mercato, non c’è un accesso diretto a questo tipo di professionalità. Disegnavo a casa, per piacere, facevo qualche lavoretto… Poi un amico parlò di me a una piccola casa editrice che stava nascendo. Si chiamava Megamultimedia, ora però non esiste più. Loro mi chiamano immediatamente: “ vuoi lavorare?”, e io: “Sì!”.
Dopo le esperienze in Spagna, la collaborazione con Avatar Press, i lavori con Moore e il fumetto americano. Come è nata questa collaborazione?
RYP: Curiosamente, mi chiesero di adattare una canzone di Alan Moore per il Comicon. Una sua vecchia canzone, di quando Moore era punk. Inizialmente la Avatar Press comprò il lavoro di un altro disegnatore, per farne e uscire un libro da pubblicare negli Stati Uniti. Il risultato non li convinse molto, quindi provarono ad affidarlo a me, e da lì in poi iniziarono ad affidarmene altri. Prima fumetti piccoli, poi sempre più importanti: il Robocop di Miller, altri lavori di Alan Moore, Garth Ennis…
Come è stato il salto? Ci sono molte differenze tra i due mercati?
RYP: Conosco molto di più il mercato americano in realtà, perché non ho lavorato in Spagna per molto tempo. Le differenze però non sono molte. Quella principale era che in Spagna, all’epoca almeno, pagavano molto poco, quindi hai bisogno di lavorare molto e impari a lavorare in fretta. Abilità che è poi è fondamentale per lavorare negli USA, dove ci sono dead line e ritmi serrati da rispettare.
Quali sono state le tue prime letture, e soprattutto i maestri su cui ti sei formato?
Senza dubbio e prima di tutti Moebius. Quando ho visto Arzach ho detto “io voglio fare questo”. Sai, io ho sempre disegnato aggiungendo molti dettagli, e tutto il mondo mi diceva “no no, non si può disegnare così, con tutti questi dettagli. Pulisci la tavola, semplifica”. Poi ho scoperto Moebius… e lui di dettagli ne metteva migliaia. Ed è quello che volevo fare anche io.
Poi anche Manara, Darrow, Frank Miller per la sua abilità nel raccontare, Katsuiro Otomo… Ma anche disegnatori del fumetto supereroico “classico”, ad esempio John Romita, sia padre che figlio. Più in generale apprezzo molti autori, provenienti un po’ da tutto il mondo.
Sei partito anche dal fumetto erotico, su Comic Anthology. Quale è secondo te il rapporto tra eros e fumetto, e anche il tuo rapporto con questo tipo di narrazione?
RYP: Non saprei risponderti, perché personalmente non ho mai avuto una connessione preferenziale con il fumetto erotico. In realtà quel tipo di fumetto in Spagna negli anni ’90 era l’unico che si vendeva, era l’unico mercato, e da disegnatore lavori con quello che hai. Come si dice, non sei tu che ti scegli il mercato, è lui che sceglie te. All’epoca lavorare per il fumetto suepereroico per me era impensabile. Pura follia. Ma oggi è lo stesso per quanto riguarda la violenza. Molti fan mi associano alla violenza e al sangue, ma in realtà quelli sono gli script di Ellis, per dire un nome. Come allora, io continuo a lavorare con quello che ho. È come quella battuta di Jessica Rabbit, no? “Io non sono cattiva. È che mi disegnano così!”.
Avverti un cambiamento rispetto a quando hai iniziato? Secondo te verso quale direzione sta andando il fumetto?
RYP: Nei ‘90 avevi il tema dell’erotismo, con personaggi femminili molto voluttuosi. Oggi si tende a fare un fumetto più inclusivo, più sensato mi verrebbe da dire. Meno ipersessualizzato. Però penso che questi siano cicli, un po’ come succede per la politica, in cui hai a un’alternanza di destra e sinistra, di conservatorismo e progressismo. Allo stesso modo fra un po’ il tipo di fumetto di qualche anno fa potrebbe tornare.
Ciò che ha davvero cambiato le cose, e che probabilmente le cambierà ancora, secondo me è internet, e in generale l’avvento del digitale. Fra qualche anno forse non si avrà più bisogno della carta. Già ora la fruizione dei libri avviene sempre più su device digitali. Io per esempio compro molti meno libri di carta, perché le versioni digitali sono più comode. Per il fumetto questo non è ancora del tutto vero, la fruizione ha ancora bisogno della carta. Ma forse fra qualche anno non sarà più così, e questo sì sarà un grande cambiamento, quando arriverà.
Cosa ne pensi della scena fumettistica europea? E in particolar modo dell’Italia?
RYP: L’Italia per me è praticamente la madre dell’arte. Adoro gli autori italiani, sono incredibili, e mi hanno sempre influenzato molto. Il mercato non lo conosco realmente, ma ho sempre apprezzato il fatto che il fumetto italiano abbia una propria identità. L’Italia è fra i paesi che sono riusciti a conservare e sviluppare una propria tradizione, una propria scuola del fumetto. Cosa non scontata, perché per esempio la Spagna non ci è riuscita. L’Italia ha il “fumetto”, gli Stati Uniti hanno il loro “comic book”, il Giappone ha il “manga”, la Korea il “manwa”… La Spagna invece, al momento, non ha una propria identità, e per questo perdiamo gli autori che formiamo. Noi disegnatori spagnoli finiamo per andare a lavorare in Italia, in Francia, negli Stati Uniti…
Infine, puoi darci qualche indiscrezione sul tuo futuro? Sei coinvolto in qualche nuovo progetto?
RYP: Il futuro è sempre incerto. Ora sto lavorando per la Valiant da diversi anni, e mi trovo molto bene. Il mio futuro al momento credo sia qui. Non si può mai dire, perché Il lavoro di un disegnatore è sempre sul filo di una spada, ma qui mi sento molto a mio agio e spero di poter continuare per qualche altro anno, anche se sono aperto ad altri progetti. La cosa che più conta per me è che dopo vent’anni di carriera, questo lavoro ancora mi piace moltissimo. Disegnare mi diverte sempre, e spero che continui così ancora a lungo.