Il sistema sanitario in Campania, e nel Mezzogiorno in generale, si sa, non è dei migliori. A testimonianza di ciò, non servono gli eclatanti casi di cronaca che si impongono nei media locali e nazionali, ma bastano le esperienze di ognuno di noi. Tutti purtroppo, in un modo o nell’altro, in questi anni abbiamo avuto il modo, e il dispiacere, di sperimentare sulla nostra pelle, o su quella di qualche nostro caro, l’inefficienza e l’inadeguatezza di tante, troppe, realtà mediche. Basti pensare che tanti cittadini – che pure pagano le tasse per vedersi corrispondere dei servizi dignitosi – si trovano, invece, costretti a recarsi fuori regione, in strutture più preparate. Del resto, anche in questo settore, il divario e la disparità tra Nord e Sud esiste e, inaccettabilmente, sembra voler perdurare, considerata la classe politica che siede sugli scranni del potere.
Pertanto, dal canto nostro, su Senza Linea siamo convinti che operare una riscoperta storico-culturale del nostro grande passato, fatto di eccellenze e primati, possa essere il primo passo per una ripresa di consapevolezza del nostro potenziale, sul quale è necessario che si torni ad investire. La Storia, difatti, non è un soprammobile da lasciare nella polvere, bensì uno strumento da lavoro per affrontare il presente. Per tale ragione, vogliamo oggi trattare la figura di Antonio Cardarelli, il Grande Clinico di Napoli.
Ovviamente, quando si sente il nome di Cardarelli, automaticamente il pensiero si connette al principale ospedale della città. Il più grande nosocomio di tutto il Meridione, infatti, è stato intitolato proprio al medico di origini molisane, a riprova del suo enorme valore sia per la medicina che per il popolo napoletano. Ed è prorpio dall’esempio dell’uomo scelto per l’intitolazione che la struttura – così come altre – dovrebbe ripartire per tornare ad essere un polo di primo piano, anche oltre i confini della nazione.
Ebbene, Antonio Cardarelli nacque a Civitanova del Sannio nel 1832 e, dopo gli studi classici in seminario, si trasferì a Napoli per studiare medicina, laureandosi all’età di soli 22 anni. Nel capoluogo campano, il giovane entrò in contatto con i grandi maestri della scuola medica partenopea, della quale lui stesso diventò un membro di elevato profilo. Celebre era il suo cosiddetto occhio clinico, ovvero le sue spiccate capacità diagnostiche basate sulla semplice osservazione dei pazienti. In effetti, Cardarelli era uno specialistica in quella che è la Semeiotica, vale a dire la tecnica mirante all’individuazione delle patologie attraverso l’analisi dei segni sintomatici. Il suo metodo che, in qualità di illustre docente universitario, tramandò ai suoi allievi, era quello che lui stesso definì dell’observatio et ratio. A tal proposito, dunque, diversi sono gli aneddoti che sono arrivati sino ai giorni nostri e che vedono il medico e il suo particolare talento come protagonisti. Si narra, ad esempio, che egli riuscì a diagnosticare un aneurisma all’aorta a un pescivendolo semplicemente sentendolo urlare, oppure una laringite a un cantante, dopo averlo ascoltato a teatro. Ma il caso più noto è quello legato al cancro alla pleura di papa Leone XIII. Difatti, senza neppure visitare il papa di persona, ma concentrandosi meramente sulla lettura dei bollettini medici, Cardarelli gli diagnosticò il male terribile, mentre tutti gli altri erano convinti che fosse una pleurite. Solo dopo la morte del pontefice fu chiaro che il medico di Napoli aveva colto nel segno.
Per ovvie ragioni, quindi, la sua fama e il suo nome si diffusero a macchia d’olio, destando invidia in molti suoi colleghi, e fu proprio per invidia che alcuni di essi vollero organizzargli uno scherzo per screditarlo. Per cercare di dimostrare quelle che per loro erano menzogne, sottoposero, infatti, all’attenzione del professore – ignaro di tutto – un paziente che, a detta loro, era completamente sano. Tuttavia Cardarelli, dopo averlo visitato, gli sentenziò una diagnosi di neurite cronica, suscitando l’ilarità dei presenti, i quali gli svelarono la messa in scena. Il dottore, però, non si scompose, rimase convinto del suo verdetto, e sette giorni dopo, non a caso, il paziente morì davvero per la patologia suddetta.
Inevitabilmente, come dicevamo, questo suo incredibile talento lo rese dunque noto tra la gente, facendolo acclamare dalla folla quasi come un santo o un taumaturgo. In moltissimi, ogni giorno, accorrevano presso la sua abitazione in via Costantinopoli per avere un suo parere o un suo consulto medico, ed egli si prestava a curare di buon grado tutti, non solo i ricchi, offrendo anzi assistenza gratuita per gli indigenti.
“…tutta la gente lo chiamava, l’invocava, gli tendeva le mani, chiedendo aiuto, assediando il portone, le scale, la sua porta… con la pazienza e la rassegnazione di chi aspetta un salvatore.”
Con queste parole Matilde Serao descriveva l’impatto che Antonio Amati (alias Cardarelli) aveva sulle persone comuni.
In aggiunta, Cardarelli fu, persino il medico personale di Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Umberto I per i quali non nascose delle simpatie politiche. C’è da dire, per l’appunto, che egli maturò anche un certo iter politico, sempre da liberale, nel Regno d’Italia, partecipando, sia in qualità di deputato che di senatore, a ben sette legislature. Durante questi mandati in Parlamento, il professore, onestamente, si spese molto non solo sulle questioni igienico-sanitarie dell’Italia intera, ma anche sulle problematiche del suo paese di origine e del suo Molise, unica regione del Regno a non avere un ospedale.
Il medico morì a Napoli nel 1927, all’età di novantasei anni, dopo una carriera sempre ai massimi livelli. Lasciò in tutti il ricordo della sua professionalità e della sua genialità, tanto è vero che ancora oggi a Napoli, dinanzi a determinare situazioni mediche, si esclama: “ci vorrebbe Cardarelli!”.
Egli è stato un grande maestro, anticipatore di nuove scoperte, specie nelle patologie afferenti le aree del fegato e all’addome, oltre che sull’aneurisma dell’aorta.
A ben guardare, però, il suo insegnamento più potente, oltre a quello di natura professionale, è stato quello umano, che appunto dovrebbe essere colto dagli aspiranti operatori sanitari di oggi. Spesso, duole infatti constatare che, per arrivismo e vanagloria, non da tutti l’essere medico viene recepito come una missione al servizio del prossimo, da perpetuare con impegno e grande generosità.